Nel
1935, il fisico austriaco
Erwin Schrödinger ideò un
esperimento mentale, che si proponeva di mostrare l'assurdo funzionamento della
meccanica quantistica in merito alla
sovrapposizione di stati degli
atomi e delle
particelle subatomiche. L'esperimento, divenuto celebre come il
'paradosso del gatto', accostava al mondo macroscopico alcune leggi riscontrate nella
fisica quantistica, presentando un
gatto intrappolato in una
scatola con all'interno una fiala di veleno: secondo
Schrödinger, nell'esempio in questione il felino si trova in uno stato definito di
'sovrapposizione quantistica' e può essere, allo stesso tempo,
vivo o
morto come conseguenza del suo essere collegato a un
evento subatomico che può
verificarsi o meno. Fino a quando non interverrà un
osservatore esterno a far innescare l'evento, il
gatto all'interno della scatola si troverà in questo stato paradossale di
sovrapposizione e non potrà essere definito né
vivo, né
morto. Tuttavia, nel
mondo macroscopico le cose non vanno propriamente in questo modo. E la cosiddetta
'sovrapposizione' decade. Per spiegare questa discordanza, i fisici
Lajos Diósi e
Roger Penrose hanno chiamato in causa la
gravità. E' proprio a causa della gravità che le particelle
'collassano' in uno dei due stati, poiché essa non accetta né lo stato di
ubiquità, nè la
sovrapposizione di due deformazioni spazio-temporali. Uno studio portato a termine da un team internazionale, guidato per la maggior parte da
fisici italiani del
Centro ricerche 'Enrico Fermi' dell'Istituto nazionale di Fisica nucleare e
dell'Università di Trieste, ha messo alla prova il modello teorico ipotizzato da
Penrose, il quale spiegherebbe perché le leggi della
meccanica quantistica non possono essere estese alla
realtà macroscopica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su
'Nature Physics'. Un'analisi che vede, tra i firmatari dell'articolo, lo stesso
Lajos Diósi del
Wigner Research Center di
Budapest, insieme agli italiani
Angelo Bassi dell'Istituto di Fisica nucleare e
dell'Università di Trieste e
Sandro Donadi, del
Frankfurt Institute for Advanced Studies. Secondo lo studio, ogni particella che
collassa inizierebbe a muoversi in modo
casuale, riscaldando il sistema di cui fa parte.
"È come se avessi dato un calcio a una particella", afferma il coautore
Sandro Donadi, dell'Istituto di studi avanzati di
Francoforte, "se la particella è carica, questa dovrà emettere radiazione elettromagnetica di fotoni mentre devia". E' stato calcolato, infatti, che
protoni ed
elettroni, legati tra loro per formare la
materia, emettono un debole
segnale elettromagnetico generato dal collasso della
funzione d'onda quantistica, attraverso il meccanismo ipotizzato da
Penrose. Si è giunti, insomma, a scoprire una
formula che predice il
numero di fotoni che dovranno essere emessi. Per la sperimentazione empirica, i ricercatori hanno costruito un rilevatore da un
cristallo di germanio delle dimensioni di una tazza di caffè e, per due mesi, hanno contato i
fotoni emessi dalla materia. Il cristallo è stato
avvolto nel piombo e posizionato a
1,4 chilometri sotto terra nel
Laboratorio nazionale del Gran Sasso, per proteggerlo da altre fonti di radiazioni. I fotoni contati risultavano essere
576. Secondo il modello
Diósi-Penrose, dovevano essere
mille volte di più. Questo non significa che l'ipotesi che il
collasso legato alla gravità sia da
escludere completamente, ma la spiegazione non può essere così
semplice come, inizialmente, si poteva
sperare.