A dispetto di tutte le critiche ricevute - prima fra tutte: quella di aver
'scopiazzato' senza alcuna originalità i
Nirvana, cavalcando l'onda del successo della band di
Seattle - i
Bush hanno dimostrato di essere uno dei gruppi nati nell'epoca
'post grunge' più longevi. Dopo il mezzo flop di
'Black and White Rainbows' (2017), un album che aveva tentato la strada del
pop rock più
orecchiabile, con il loro ultimo album,
'The Kingdom', la creatura di
Gavin Rossdale ha deciso di tornare in parte alle origini del suo
sound, reso ancora più robusto, se possibile, da alcune
influenze metal evidenti. A conferma di questo, lo stesso
frontman ha ammesso quanto sia stata fondamentale, durante la composizione di
'The Kingdom', l'ispirazione di
'System of a Down' e altre band con cui ha condiviso il palco in alcuni festival metal.
'Flowers on a grave', la traccia uscita come singolo a marzo scorso, mette subito in chiaro le coordinate
hardrock/metal dell'album, offrendo all'ascoltatore uno dei migliori pezzi dei
Bush dai tempi di
'Sixteen Stone' (1994): un'ottima presentazione del nuovo assetto stilistico, che riesce a coniugare sapientemente impetuosità e melodia. Si passa poi alla
title track, meno interessante ma più aggressiva e pesante: un
'pezzo' che lascia il posto a
'Bullet Holes', introdotto da un giro di basso incredibilmente coinvolgente. Una canzone, quest'ultima, scritta insieme a
Tyler Bates e apparsa, nel
2019, nella
soundtrack del film
'John Wick: Chapter 3 - Parabellum'. Il brano successivo, intitolato
'Ghosts in the machine', accompagnata da una chitarra potente e trascinante, è una delle vette dell'album, mentre
'Blood river' conferma quanto di buono è stato raggiunto in questa prima metà dell'album. Nella seconda parte,
'Quicksand' e
'Send in the Clowns' riescono a mantenere l'ottima ispirazione compositiva dei nuovi
Bush, mentre
'Undone', al contrario, si rivela una
'ballad insipida' e ben poco memorabile. Discorso diverso per
'Our time will come' e
'Crossroads', che riportano la
band londinese sui suoi binari vincenti, con la perfetta dose di chitarre ritmiche e melodia.
'Words are not impediments' è una traccia discreta, che tuttavia sfigura e appare un po' sottotono rispetto a quanto ascoltato in precedenza. Infine,
'Falling Away' è il brano di chiusura, che si lascia apprezzare per un'apertura melodica inaspettata e ariosa, che si stampa nella mente.
'The Kingdom' è dunque il grande ritorno di una delle
band più controverse e divisive degli ultimi tempi, capace di produrre un
rock molto ben suonato e pieno di buone intuizioni. Sia ben chiaro: i
Bush non hanno inventato nulla. E con questo disco, lo ribadiscono pienamente. Ma la freschezza compositiva di
'The Kingdom' è difficilmente riscontrabile nelle produzioni odierne: tutto quello che ascoltiamo in queste
12 tracce non è nulla di particolarmente originale - come gran parte di ciò che offre, ultimamente, il panorama musicale - ma
'suona' incredibilmente bene.