Pietro PisanoA dispetto di tutte le critiche ricevute - prima fra tutte: quella di aver 'scopiazzato' senza alcuna originalità i Nirvana, cavalcando l'onda del successo della band di Seattle - i Bush hanno dimostrato di essere uno dei gruppi nati nell'epoca 'post grunge' più longevi. Dopo il mezzo flop di 'Black and White Rainbows' (2017), un album che aveva tentato la strada del pop rock più orecchiabile, con il loro ultimo album, 'The Kingdom', la creatura di Gavin Rossdale ha deciso di tornare in parte alle origini del suo sound, reso ancora più robusto, se possibile, da alcune influenze metal evidenti. A conferma di questo, lo stesso frontman ha ammesso quanto sia stata fondamentale, durante la composizione di 'The Kingdom', l'ispirazione di 'System of a Down' e altre band con cui ha condiviso il palco in alcuni festival metal. 'Flowers on a grave', la traccia uscita come singolo a marzo scorso, mette subito in chiaro le coordinate hardrock/metal dell'album, offrendo all'ascoltatore uno dei migliori pezzi dei Bush dai tempi di 'Sixteen Stone' (1994): un'ottima presentazione del nuovo assetto stilistico, che riesce a coniugare sapientemente impetuosità e melodia. Si passa poi alla title track, meno interessante ma più aggressiva e pesante: un 'pezzo' che lascia il posto a 'Bullet Holes', introdotto da un giro di basso incredibilmente coinvolgente. Una canzone, quest'ultima, scritta insieme a Tyler Bates e apparsa, nel 2019, nella soundtrack del film 'John Wick: Chapter 3 - Parabellum'. Il brano successivo, intitolato 'Ghosts in the machine', accompagnata da una chitarra potente e trascinante, è una delle vette dell'album, mentre 'Blood river' conferma quanto di buono è stato raggiunto in questa prima metà dell'album. Nella seconda parte, 'Quicksand' e 'Send in the Clowns' riescono a mantenere l'ottima ispirazione compositiva dei nuovi Bush, mentre 'Undone', al contrario, si rivela una 'ballad insipida' e ben poco memorabile. Discorso diverso per 'Our time will come' e 'Crossroads', che riportano la band londinese sui suoi binari vincenti, con la perfetta dose di chitarre ritmiche e melodia. 'Words are not impediments' è una traccia discreta, che tuttavia sfigura e appare un po' sottotono rispetto a quanto ascoltato in precedenza. Infine, 'Falling Away' è il brano di chiusura, che si lascia apprezzare per un'apertura melodica inaspettata e ariosa, che si stampa nella mente. 'The Kingdom' è dunque il grande ritorno di una delle band più controverse e divisive degli ultimi tempi, capace di produrre un rock molto ben suonato e pieno di buone intuizioni. Sia ben chiaro: i Bush non hanno inventato nulla. E con questo disco, lo ribadiscono pienamente. Ma la freschezza compositiva di 'The Kingdom' è difficilmente riscontrabile nelle produzioni odierne: tutto quello che ascoltiamo in queste 12 tracce non è nulla di particolarmente originale - come gran parte di ciò che offre, ultimamente, il panorama musicale - ma 'suona' incredibilmente bene.


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