Quella del
‘Cristo - uomo’ è una vecchia polemica intellettuale di discendenza
illuminista. Nelle epoche più antiche veniva infatti dato per scontato che
i Vangeli fornissero notizie assolutamente attendibili e solo alla fine del 1700 venne sollevata la questione se il
Gesù realmente esistito e il
Cristo predicato dalla Chiesa cattolica fossero, in realtà,
la stessa persona. Il primo problema che si pose fu quello di una
distinzione tra le finalità di Gesù e quelle dei suoi discepoli: in sintesi,
Gesù era un
‘Messia politico’, un liberatore degli ebrei dal dominio dell’Impero romano il quale, messo a morte,
non riuscì a raggiungere il proprio scopo. I suoi discepoli, allora,
ne trafugarono la salma, inventarono l’annuncio della sua resurrezione e fondarono una nuova religione. Secondo questa tesi, sarebbero dunque i discepoli gli inventori della figura del Cristo. Ma se il
vero Gesù fosse
diverso dal Cristo rappresentato nei Vangeli,
chi era, allora, in realtà? A questa domanda cercò di rispondere l’indagine storiografica post-illuminista, facendo venire alla luce
numerosi ritratti del figliuolo del falegname di Nazareth. Il difetto di tali raffigurazioni risiedeva, però, nel
pregiudizio che li animava:
i razionalisti lo descrissero, infatti, come un moralista, gli idealisti come la quintessenza dell’umanità, gli esteti come un artista geniale della parola, i socialisti come un amico dei poveri e un riformatore sociale. Gesù si ritrovò, insomma,
continuamente modernizzato ed ogni epoca, ogni ideologia, ogni autore finì col
riproporre, mediante la sua personalità,
il proprio ideale filosofico e culturale.
Insomma,
tutti questi Gesù non venivano dedotti solo dalle fonti, ma erano prevalentemente il frutto di
costruzioni psicologiche. La teologia cattolica, peraltro, ha sempre
distinto tra Gesù e Cristo, da una parte, e tra
storico historisch e
storico geschichtlich dall’altra. In sostanza, con
Gesù si intende
l’uomo di Nazareth come l’indagine sulla sua vita lo ha sempre descritto e si designa, invece, con
il Cristo, il salvatore predicato dalla Chiesa. Col termine
historisch, vengono invece indicati i puri e semplici fatti storici del passato, mentre con il termine
geschichtlich si categorizza tutto ciò che racchiude un significato durevole ed universale. Va da sé che la teologia cattolica
ha contrapposto in chiave antagonista il Cristo ‘biblico’ al cosiddetto ‘Gesù storico’, arrivando a concludere che
solo il primo è ammissibile, poiché possiede un significato di fede. In pratica, noi non dobbiamo chiederci nulla della vita e della personalità di
Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono mai interessate al riguardo, se non in modo frammentario. Lo scopo esclusivo dei Vangeli è, in effetti,
la catechesi: agli evangelisti non è mai interessata la ricostruzione della figura storica di Gesù, bensì di
annunciarlo come il ‘Figlio di Dio’. E quand’anche le ricostruzioni fossero attendibili, esse non avrebbero
nulla da dire al credente, perché quest’ultimo, per mezzo della fede,
salta la storia a piè pari. Svariate fonti storiche ed archeologiche hanno dimostrato, tuttavia, che
Gesù è sicuramente esistito. E, a questo punto dell’analisi, appare pertanto necessario
avventurarsi in una ricerca che sappia essere, ad un tempo, saggia e critica. Innanzitutto, venendo meno ogni connessione tra
il Cristo della fede e il Gesù della storia, il cristianesimo diviene un mito
astorico e docetista. Se la Chiesa ha sempre avuto così poco interesse per la storia terrena di
Gesù, perché ha prodotto
i Vangeli con i loro
fortissimi richiami storici relativi alla sua epoca? E se anche
i Vangeli fossero soltanto un prodotto di fede, perché mai essi richiedono
una fortissima fiducia nell’identità tra il ‘Gesù – uomo’ ed il Dio risorto? Tali aspetti possono essere significativi solo comprendendo
il contesto storico del giudaismo del primo secolo dopo Cristo, ovvero incoraggiando la ricerca storiografica alla luce delle cosiddette scienze sociali. Ciò può portarci verso
svariate direzioni: quella tendente a
valorizzare l’ebraicità di Gesù, paradigma molto comune in questo genere di analisi; quella passante per
la rivalutazione del Vangelo apocrifo di Tommaso, il quale descrive
un Gesù ‘gnostico’ e puramente sapienziale; quella che valuta il differente peso dato dalle
varie tradizioni di quei tempi e dallo sfondo sociopolitico, culturale e religioso dell’epoca. Privilegiando la tradizione
miracolistica si ha, ad esempio,
un ‘Gesù mago’ taumaturgo ed esorcista; privilegiando quella dei
‘detti sapienziali’ a discapito di quelli escatologici, emerge
un Gesù sapiente; seguendo
il procedimento opposto sorge, ovviamente,
un profeta escatologico; porre altresì l’accento sulla sua
crocifissione può farne
un rivoluzionario prozelota o un pacifista vittima dell’oppressione; evidenziando invece il contesto giudaico, Egli diviene
un Rabbi o un fariseo illuminato; infine,
la storiografia collegata al contesto ‘ellenistico’ può giungere a dipingerlo come
un filosofo cinico e fatalista. In ogni caso,
ricollocando il ministero di Gesù nell’ambiente giudaico del I secolo, diviene possibile dimostrare proprio
la fondatezza dei resoconti evangelici proiettati sullo sfondo delle fonti dell’epoca. E la figura di
Gesù può corrispondere a quella dei
‘rabbi carismatici’, in particolare
Honi e Hanina ben Dosa, anche se, in questo caso, appare impossibile non affermare la
incomparabile superiorità di Gesù. Ma, in conclusione,
chi era veramente questo ragazzo di Nazareth? Il dubbio ed il mistero rimangono gli elementi basilari della vera cultura e della conoscenza più profonda.
Articolo tratto dal mensile di informazione e cultura 'Diario 21'