"Dopo 30 anni, ancora persistono i muri di paura e le fobie nei confronti della diversità ed è in aumento il razzismo, religioso e culturale". E' quanto afferma l'associazione medici di origine straniera in Italia
(Amsi) e l'Unione medica euromediterranea
(Umem), fotografando la situazione dei professionisti della
Sanità provenienti dai
Paesi dell'est europee, che iniziarono ad arrivare in
Italia dopo la caduta del
muro di Berlino. Una migrazione di persone in cui il
90% di loro risultava già laureato nel proprio Paese, soprattutto in pediatria, ginecologia, oculistica, medicina interna, chirurgia generale e dermatologia. Tutti profesisonisti che, in seguito, hanno avanzato la richiesta del riconoscimento della laurea in loro possesso tramite il
ministero della Salute, per poter esercitare in
Italia prima come medici generici e, in seguito, come specialisti. Tuttavia, non tutti hanno potuto veder riconosciuta la propria specializzazione a causa alla legge vigente e ai piani di studi delle università italiane.
"In base alle nostre statistiche", dichiara il presidente
Amsi e
Umem, nonché membro del
Gdl Salute globale Fnomceo e consigliere
Omceo di Roma, Foad Aodi, "negli ultimi 3 anni, il 30% dei medici dei Paesi dell'est sono tornati nei loro Paesi di origine o esercitano contemporaneamente in più di un Paese europeo, per motivi economici o per i pagamenti bassi e in ritardo da parte di alcune delle strutture sanitarie private, oltre agli episodi di sfruttamento lavorativo, oppure per mancanza della cittadinanza italiana, necessaria per poter svolgere concorsi pubblici o verder riconosciute le specializzazioni ottenute all'estero". Aodi ricorda, inoltre, che
"dopo la caduta del muro di Berlino, iniziò la seconda fase d'immigrazione dei professionisti della Sanità di origine straniera in Italia dopo quella precedente, in cui erano arrivati quasi esclusivamente studenti stranieri provenienti maggiormente da Paesi arabi, africani e greci. Una fase in cui giunsero medici, infermieri e fisioterapisti russi, polacchi, rumeni, ucraini, albanesi, moldavi e dei Paesi della ex Jugoslavia, quasi tutti già laureati che hanno ottenuto il riconoscimento dei loro titoli, tranne alcuni ucraini per motivi di piani di studio distinti, i quali iniziarono a lavorare presso le strutture sanitarie private - e non in quelle pubbliche - per mancanza della cittadinanza italiana. Dopo 30 anni", spiega
Aodi, "la storia dell'immigrazione dai Paesi dell'est europeo è cambiata totalmente e quasi semrpe in positivo sia dal punto di vista economico, sia da quello professionale, universitario e culturale. Urge perciò", aggiunge il luminare, "abbattere tutti i muri di paura, fobia e pregiudizi nei confronti della diversità, a cominciare dal razzismo e dalle discriminazioni religiose e culturali nel mondo. Invito tutti", conclude
Aodi, "al prossimo Congresso Amsi, dove presenteremo le nostre statistiche su immigrazione ed emigrazione dei professionisti della Sanità di origine straniera e la carenza dei medici e le richieste che arrivano all'Amsi per la salute dei migranti e lavoratori stranieri".