Davide GiacaloneI referendum sulla fecondazione assistita sono stati, comunque l’occasione di un dibattito importante, capace di dimostrare che i problemi della laicità dello Stato vanno coniugati al presente, non al passato. L’invito all’astensione non è in sé illegittimo, certo è assai anomalo in bocca alla seconda e terza carica dello Stato. Intanto perché invitare alla rinuncia di un diritto non è bello, poi perché sostenere che lo stesso risultato, ovvero il mantenimento inalterato del testo di legge, lo si consegue più facilmente non votando No, ma approfittando di un fisiologico zoccolo duro di astenuti, ha qualche cosa di politicamente increscioso. L’ho sostenuto e non ho cambiato idea. Ma la tattica elettoralistica non deve oscurare la questione di fondo: il rapporto fra laicità e cattolicità nell’Italia di oggi.
Gli italiani contemporanei non sono meno laici degli italiani che votarono a favore del divorzio e dell’aborto. Rispetto ad allora, però, la cattolicità ha perso la propria rappresentanza politica laica, incarnata dalla Democrazia Cristiana. Sono certo che il superamento degli storici steccati fra laici e cattolici, di quel conflitto di culture e di armi che è una specificità italiana, come solo italiana è la questione romana, lo si deve in grande parte alla Dc. Ed a quel superamento si deve molto di quel clima nuovo che ha consentito sviluppo civile ed economico. Il che suonerà male alle orecchie di molti laici, ma è così. Quel partito fu fino in fondo democratico, accettò sempre il giudizio degli elettori, anche quando questo era in contrasto con i principi etici, di diretta discendenza cattolica, cui s’ispirava. Si poteva essere avversari della Dc, nella polemica politica si poteva contestarne le posizioni, ma nessuno (in buona fede) ha mai potuto dubitare della sua lealtà democratica ed istituzionale. Questo favorì lo sbollire del conflitto, o, per meglio dire, il suo naturale incanalarsi nei circuiti della politica. Il venir meno di quel partito crea una situazione nuova. Non ho contestato la decisione delle gerarchie vaticane di intervenire nella campagna referendaria, anzi. La Chiesa che direttamente si misura con la secolarità delle decisioni, che direttamente s’inserisce nel giuoco politico, decide di testimoniare il proprio magistero senza l’anacronistico baluardo di una pretesa intangibilità. Bene, quindi. Ci sono leggi illiberali, in Italia, che considerano illegittimo quest’intervento, ma speriamo che tutti i democratici ed i laici, s’impegnino a cambiarle. Un tempo (come nella campagna contro il divorzio) sarebbe stata la Dc a condurre la battaglia, oggi le cose sono cambiate. Ma proprio per come sono cambiate, ecco che diventa significativo vedere la Conferenza Episcopale Italiana stabilire la linea politica e la tattica propagandistica, e le più alte cariche dello Stato accodarsi (con la preziosa eccezione del Presidente Ciampi). Diciamolo chiaramente: non si sente affatto il bisogno di ripassare per Porta Pia, ma si deve anche stare attenti a non demolire (fra le altre cose) l’ottimo lavoro di laicizzazione fatto con i democristiani. Siamo sicuri che, quando il tempo avrà distanziato il conteggio dei voti, quando si sarà valutata l’astensione per quello che è (menefreghismo, egoismo, morte della politica) su questo alcuni torneranno a riflettere e, forse, ad accorgersi che qualche ragione milita nel senso delle nostre preoccupazioni. Al termine della campagna referendaria il presidente del Senato ha detto che la necessaria separazione fra le cose statuali e quelle ecclesiastiche non deve comportare estraneità od indifferenza. Su questo sono d’accordo. Ma cosa significa? Non certo che vi sia bisogno di una benedizione, magari multiconfessionale, per leggi e decisioni che non attengano strettamente ai campi della normale amministrazione. Deve significare che i dettami etici discendenti da una fede religiosa, da ciascuna fede religiosa, devono poter trovare legittimità d’espressione anche nella vita politica e civile. Certamente. E quale è lo strumento utilizzabile? Le elezioni, cui si possono presentare formazioni altamente caratterizzate, o in occasione delle quali si possono stringere accordi di tipo contrattuale, come avviene in tutte le grandi democrazie: voi del tal partito ci garantite di battervi per la scuola di un certo tipo, e noi diremo ai nostri fratelli nella fede di votarvi. Nulla da eccepire. Capita, a cicli ricorrenti, che ci si accorga della domanda di spiritualità così intimamente legata alla natura umana. Capita che credenti distratti si facciano più assidui praticanti, così come capita che nuovi culti tentino di dar risposte a quella domanda. Qual è il compito dello Stato? Di sicuro non quello di entrare nel merito né della domanda né delle risposte, ma di agire in modo che nessun credente rimanga forzosamente senza la propria guida spirituale e nessuna guida possa approfittarne per finalità men che spirituali. Come si vede, lo Stato non è estraneo o indifferente, ma solo se laico, profondamente e risolutamente, può essere il contenitore entro il quale l’autonomia della fede non sia minacciata.


Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinone delle Libertà" del 14 giugno 2005
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