La tensione internazionale generata dai comportamenti irresponsabili della
Corea del Nord non ci sta affatto riportando ai primi
anni '50 del secolo scorso. Siamo, invece, di fronte al medesimo
dubbio in cui si ritrovarono
Francia e
Gran Bretagna innanzi all'espansionismo politico di
Adolf Hitler. Come affrontare
'l'interlocutore'? Ponendolo subito all'angolo con azioni di forza? Oppure, sperando nella mediazione diplomatica? Come sappiamo, la
'seconda via' servì a ben poco, nei riguardi di
Hitler. Ciò, tuttavia, non impone che si debba forzatamente ricorrere a
un'azione di guerra, nemmeno la più
'chirurgica' possibile. Queste situazioni si risolvono cercando
'terze vie': ovvero, con l'isolamento dello
Stato in questione e il tentativo, netto e fermo, in favore di una
negoziazione diplomatica di ampio respiro, capace di prendere in esame anche le condizioni oggettive in cui versa
'l'interlocutore' che si ha di fronte. La
Corea del Nord proviene da una lunghissima recessione, che il regime attualmente al potere sta cercando di risolvere attraverso l'opzione
nucleare. Ovvero, tramite
quell'autonomia energetica in grado di liberare
Pyongyang dagli effetti permanenti di una lunga
'cravatta' ricattatoria che, per molti decenni, l'aveva
'stritolata': quella del
petrolio sovietico. L'obiettivo diviene perciò quello di convincere il leader nordcoreano,
Kim Jong-un, a riconvertire il proprio programma nucleare per
scopi civili o di
riorganizzazione industriale, anziché andarsi a cercare
'duelli' da
Far West. Anche in questo caso, il verbo
'responsabilizzare' ci appare quello più indicato: a parte la vecchia questione della divisione della
penisola coreana in due distinte zone d'influenza, non ci sembra che
Pyongyang abbia un progetto di occupazione politico-militare di ampie regioni continentali come, invece, nel
'caso' di
Hitler. Se, dunque, la vecchia divisione tra le
due 'Coree' all'altezza del
38esimo parallelo più o meno
'regge', non vediamo i motivi per cui
Pyongyang debba andare a infilarsi in un rischiosissimo conflitto bellico, addirittura di natura nucleare, contro
Giappone, Stati Uniti e la stessa
Corea del sud. Il vero motivo delle provocazioni sta tutta in una ricerca spasmodica di
'attenzione mediatica' planetaria, al fine di atteggiarsi a grande potenza nucleare del pianeta. Pertanto, diviene necessario far comprendere al
leader nordcoreano che se il mondo non è
'saltato per aria', nel secolo scorso, dopo
due sanguinosi conflitti mondiali e un
aspro scontro ideologico tra
comunismo, fascismo e
liberaldemocrazia, la comunità internazionale non comprenderebbe affatto l'assurdità di una catastrofe generata da un singolo capo di Stato che, all'improvviso, decide di scatenare
l'apocalisse. Riuscire a coinvolgere la
Corea del Nord in
programmi di scambio e di
commercializzazione dei
brevetti scientifici più avanzati diviene il nostro consiglio più
razionale e
'spassionato', finalizzato ad aprire una nuova fase di
'distensione' sul
'teatro asiatico' e nei rapporti politici internazionali. Non si tratta di
moderazione 'buonista': siamo consapevoli di come
'l'interlocutore' sia piuttosto
'umorale', se non del tutto
imprevedibile. Ma
irrazionalità e
imprevedibilità si combattono con
l'astuzia, non mostrando i
'muscoli' a fini puramente propagandistici o d'immagine, poiché si rischia di fare esattamente il
'gioco' verso il quale
'l'interlocutore' vorrebbe trascinarci. Non riteniamo, insomma, che
l'opzione militare sia quella più valida: meglio ricorrere
all'astuzia diplomatica e alla
'moral suasion', convincendo il popolo nordcoreano e i suoi leader che le
'teste calde' risultano vincenti solo temporaneamente, mentre i veri protagonisti della
Storia sono coloro che hanno a cuore
il destino dell'intera umanità, affrancandola dal
ricatto della paura e dal
'demone' della follìa. Sono questi i
'veri nemici' che dobbiamo combattere, innanzitutto in noi stessi. Con intelligenza, razionalità e saggezza anche
'orientale', se necessario.