Il primo ministro spagnolo,
Mariano Rajoy, è un uomo
'insipido', per il quale la politica è una missione moralizzatrice degli spagnoli e non del
Partito popolare di cui è leader, soffocato da uno scandalo dopo l'altro negli ultimi dieci anni.
Governa in minoranza e, a ogni uscita pubblica di una certa importanza, deve mostrare i
'muscoli' che non ha. Così si appella ai poteri dello Stato, ai giudici e alla Costituzione: mezzi che conosce bene, pur disconoscendo anche l'abc del governo e dell'economia. Da quando si è insediato, dopo la sconfitta di
Zapatero nel
2010, Mariano Rajoy ha fatto solo disastri (impiegò cinquanta giorni prima di parlare al Paese dopo la sua elezione: molti speravano fosse fuggito all'estero), il peggiore dei quali è l'essersi opposto con
'franchista' determinazione e
profondo fascismo, alle istanze indipendentiste della
Catalogna. La
Catalogna non è soltanto un luogo di
'teste calde' che vogliono l'indipendenza: è anche e soprattutto un Paese di
8 milioni di abitanti, con una lingua propria - di rara bellezza, soprattutto in letteratura - ed è il motore economico e culturale della
Spagna. L'indipendenza non sarebbe un disastro per i
Catalani, come molti pensano, ma per lo
Stato centrale. Il
'giorno dell'Indipendenza' è fissato: sarà il prossimo
1° ottobre, quando i cittadini saranno chiamati in massa a votare, appunto, per
l'indipendenza, mentre la legge che metterà in moto tutto il processo dal minuto successivo alla proclamazione della vittoria del
'Sì' è già stata votata dalla
Generalitat con procedura d'urgenza.
Mariano Rajoy ha fatto esattamente ciò che
Francisco Franco fece prima di lui: ha deciso di
reprimere le istanze indipendentiste catalane con la forza: ha fatto arrestare più di
700 sindaci favorevoli all'indipendenza; ha ordinato alle
Poste di non inviare le schede elettorali a domicilio, o informazioni sul referendum; ha minacciato velatamente
rappresaglie verso i cittadini che si offriranno come
scrutatori; ha rimesso in piedi la pallida imitazione di una
dittatura. Manca solo l'invio dei carri armati, ma non ne avrà il coraggio: egli è anche la pallida imitazione di un uomo politico
'forte'. In ogni caso, la determinazione dei Catalani è incrollabile:
"A Barcelona as votarà" (a Barcellona - e in Catalogna - si voterà,
ndr). E ci sono già voci che indicano come
Mariano Rajoy, orrendo spettacolo, dovrà
'calarsi le braghe'. Da parte sua,
l'Ue pare veda di buon occhio la nascita di un nuovo Stato in seno
all'Unione. E
Juncker ha già detto che ciò che importa non è
"imporre la legge, ma che la legge sia giusta". L'odio del
'franchismo' verso i
Catalani è noto.
Mariano Rajoy, 'por ser tonto', ne ripercorre il cammino, fedele all'anima, ancora oggi profondamente e disgustosamente
'franchista', del
Partido popular, che lo ha eletto leader. E nel quale
'gongola'. Aveva una
'chance', il
'buon Mariano': quella di lasciare assoluta libertà ai Catalani che, in quel caso, non avrebbero vissuto il suo
'No' come un'imposizione. Non l'ha usata e ha preferito mostrare i
'muscoli' che non ha. Qualora il
'Sì' dovesse prevalere, invece di inviare i carri armati o militarizzare la città farebbe bene a
dimettersi e a lasciare la politica, perché come ricorda l'edizione catalana del quotidiano
'El Pais': "Es tracta d'un plebiscit per ratificar la secessió unilateral establert a la llei fundacional de la República". Il referendum, insomma, sarà sostanzialmente
"un plebiscito per ratificare unilateralmente la secessione, opponendosi alle leggi fondative della Repubblica". Leggi alle quali, la
Catalogna si è sempre opposta.