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Coloro i quali sostennero il sistema elettorale
maggioritario, in quel biennio decisivo
1992-1994, non volevano
una politica bipolare. Una cosa sono le chiacchiere, una diversa la realtà:
i Segni ed i Martinazzoli, pur da punti di vista diversi, vedevano disgregarsi la
Democrazia Cristiana e pensavano di riaggregare il centro in un diverso scenario. Le ultime elezioni, del resto, avevano ancora premiato le forze di governo e punito severamente i comunisti, rinominati
Pds. Ma le forze che vinsero le elezioni nel 1992, quelle che ebbero la maggioranza dei voti, furono
sterminate immediatamente dopo la vittoria: nessuna si ritrovò sulle schede elettorali del 1994. Non era mai successo, in una democrazia.
Silvio Berlusconi vide due cose: il vuoto che tutte quelle forze lasciavano ed il pericolo di una
deriva giustizialista, odorosa di caudillismo sudamericano. Combatté il secondo occupando il primo.
Fu lui, in quel momento,
il fondatore del bipolarismo. Del sistema bipolare divenne, in breve, l’unico perno: gli italiani tornarono a votare liberamente, ma, in buona sostanza,
votavano pro o contro di lui.
L’intero dibattito politico s’articolava attorno alle sue gesta ed alla sua condizione. Tant’è che chi si azzardava ad evidenziare che
il problema non era Berlusconi, ma il vuoto che l’aveva preceduto, veniva iscritto d’ufficio fra i suoi
ferventi sostenitori. Si poteva solo essere
pro o contro, ogni altro ragionamento era da considerarsi
inutile. Una scena deprimente, che, difatti, ha depresso il tono della vita politica. Oggi si vuole che Berlusconi sia indebolito, ma non per questo ha perso il suo posto:
perno del bipolarismo. I suoi alleati dicono che si deve rilanciare, fare e dire, ma che la sua leadership non si tocca: bravi, ed allora? I suoi avversari dicono che è
finito, ma ne sono
prigionieri fin nella discussione dei programmi futuri, dovendo fare i conti con le scelte fatte in politica estera (giuste, anche se da loro avversate) e con la volontà di diminuire la pressione fiscale. Ancora una volta: il problema non è il perno,
ma il vuoto che gli gira attorno. Si può dire una cosa politicamente scorretta? Ebbene: né gli italiani né i leaders della sinistra hanno nessuna intenzione di
farsi governare da Romano Prodi, e, del resto, a destra come a sinistra ci si rende conto che
l’aggregazione denominata Casa delle Libertà non sta più in piedi. Lo sanno e lo sentono tutti, ma ci avviamo, lentamente, verso uno scontro elettorale che contrapporrà Prodi a Berlusconi, come nel 1994. Ora più che mai due
non alternative.
Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" del 16 aprile 2005