Le elezioni per il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese non hanno segnato un vero e proprio debutto della democrazia, giacché scontato ne era l’esito e non privo di particolarità lo svolgimento della campagna elettorale, anche a causa, naturalmente, della non agibilità di alcuni candidati, tuttora detenuti in Israele, ma sono state
un passaggio importante, probabilmente storico. Per la prima volta i palestinesi hanno potuto e dovuto scegliere, ed
il presidente, Abu Mazen, anche se si è detto nel solco della politica di Arafat (e non poteva essere diversamente, a poche settimane dalla morte del leader), con quest’ultimo aveva vissuto momenti di netto dissenso. Abu Mazen ha detto a chiare lettere che
l’intifada è stata un errore, che ha nuociuto agli interessi della causa palestinese. Già questa è una
differenza di non poco conto.
Il nuovo presidente ha davanti a sé lo spazio per
negoziare la pace con Israele. Le condizioni sono favorevoli perché la destra israeliana è al governo e, con Sharon, sta dimostrando di
volere risolvere il problema dei coloni presenti sui territori occupati, e perché
gli Stati Uniti sono, al tempo stesso,
amici del governo israeliano e sostenitori della nuova presidenza palestinese. C’è da mettere nel conto che gli estremismi non si lasceranno emarginare facilmente. Da parte palestinese
Hamas non ha partecipato alle elezioni, e le fucine di terroristi suicidi non gradiscono essere considerate un errore, oltre che un orrore; dall’altra la destra religiosa continua a considerare pericolosi
cedimenti le nuove posizioni di
Ariel Sharon. Il tempo, da una parte e dall’altra, lavora a favore degli estremisti e degli irresponsabili. Speriamo prevalga
la ragione, non solo nelle guide politiche israeliane e palestinesi, ma anche in quel mondo,
a cominciare dall’Europa, che continua a pensarsi
spettatore e, invece,
deve avere un peso nel cammino verso la pace.
Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" dell'11 gennaio 2005