Vittorio LussanaGli algoritmi sono un insieme di procedure matematiche, che discendono dallo sviluppo dei computer e dalla modernizzazione tecnologica di questi ultimi decenni. Essi vengono utilizzati da siti web e piattaforme commerciali, al fine di elaborare in tempo reale le informazioni disseminate dagli utenti durante le loro attività 'on line' e offrire servizi, informazioni e suggerimenti personalizzati. Ciò significa che motori di ricerca quali Google, Facebook e altri sono, in realtà, delle 'macchine epistemologiche' le quali, in base a definizioni arbitrarie o 'guidate' di popolarità e rilevanza, determinano la visibilità o meno di notizie, argomenti, fonti d'informazione. Tali tecniche producono, a loro volta, nuove 'identità algoritmiche', che vengono assegnate a individui che credono di essere liberi nelle loro scelte, ma in realtà risultano costantemente condizionati. La caratteristica più interessante degli algoritmi è proprio questa: essi trasformano le nostre esperienze 'on line' in un involucro cucito su misura dai nostri 'click', dai nostri interessi e da quelli di coloro cui è stato assegnato il nostro 'profilo' di utente. L'esercizio del potere algoritmico si dispiega come una sorta di 'agenda automatizzata', la quale viene scientemente applicata alla nostra 'vita digitale'. Essa non si costruisce in base al messaggio veicolato dai contenuti, ma secondo le regole 'generative' dell'algoritmo stesso, in un processo dinamico mutuabile nel tempo. Il meccanismo è sostanzialmente quello della 'produzione della predizione', dunque più statistico che econometrico: l'obiettivo è cioè quello di dare ai 'consumatori digitali' quello che vogliono secondo un'approssimazione probabilistica dei loro desideri, massimizzando la loro soddisfazione e incrementando i profitti. Lo 'spettro' di tutto questo è il cosiddetto 'inconscio tecnologico'. Ovvero: la produzione automatizzata della vita quotidiana da parte di tecnologie estremamente potenti e, al contempo, inconoscibili. Il potere degli algoritmi sugli individui non è, pertanto, solo epistemologico, ma diviene 'ontologico': non si limita a mediare il nostro sapere, bensì va a 'costruire' la realtà stessa, varcando il confine tra 'virtuale' e reale. La 'forma' dell'algoritmo rappresenta la sua stessa 'sostanza': non si limita a 'plasmarci', bensì siamo anche noi ad adattarci a lui, al fine di utilizzarlo strategicamente. L'idea che la cultura, intesa in senso antropologico, si stia rapidamente trasformando in uno 'stimolo automatizzato' risultante dall'elaborazione algoritmica dei nostri stessi dati digitali tocca, esattamente in questo punto, la sua questione di fondo: dobbiamo resistere a tale mutamento, oppure accettarlo come un dato di fatto della modernità? Abbiamo visto come gli algoritmi veicolino alcuni specifici assunti statistici, o probabilistici, finalizzandoli verso obiettivi economici: in pratica, si cerca la massimizzazione dei profitti attraverso la riducibilità della complessità umana a un numero limitato di categorie relativamente stabili. La vera cultura algoritmica, insomma, è quella della 'normalizzazione' della curva di domanda, depurata da tutti gli elementi 'atipici' o difficilmente prevedibili. L'esempio più classico è quello dei siti che utilizzano il sistema di servizi 'Seo', i quali promettono di migliorare il posizionamento delle pagine web sui motori di ricerca: essi vengono deliberatamente penalizzati dagli aggiornamenti di Google, che premia quei contenuti che rispettano precisi standard qualitativi. Ma questi ultimi, nonostante il loro impatto su scala globale, sono il prodotto di decisioni prese a 'porte chiuse' da un ristretto gruppo di aziende private. È dunque nei confronti di questo 'oligopolio', composto da soggetti quali Google, Facebook, Amazon e altri, che la politica dovrebbe alzare la voce, per il semplice motivo che una cultura suggerita automaticamente, già selezionata 'a monte' e pronta per essere consumata, non appartiene affatto agli àlvei tipici delle democrazie. Ma tutto questo segnala, soprattutto, la vera questione dei nostri giorni: la politica non soltanto risulta debole in quanto 'travolta' dalla sua lunga fase 'post ideolgica', bensì appare, in larga parte, inconsapevole di simili mostruosi fenomeni, ormai in fase di dispiegamento. Ed è proprio questa non consapevolezza a impedire ogni resistenza 'dal basso'.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine' n. 25 - febbraio 2017)

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monica - prato - Mail - mercoledi 15 febbraio 2017 6.31
condivido i contenuti dell'articolo e penso che l'unico modo per combattere l'oligopolio sia la diffusione dell'informazione sulle sue modalità d'azione...non facile visto la scarsa reattività al problema mostrata dai nostri politici
Cristina - Milano - Mail - lunedi 13 febbraio 2017 16.23
Certo che tra poco mi sento come ET...telefono.. casa..Metterò in discussione ogni algoritmo..ecco!!
Renzo - Volterra (Italia) - Mail - lunedi 13 febbraio 2017 13.4
Articolo complicato...
Roberto - Roma - Mail - domenica 12 febbraio 2017 16.44
Molto bene, benissimo anzi. Un editoriale da Premio Pulitzer!!!!!!


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