Gli
algoritmi sono un insieme di procedure matematiche, che discendono dallo sviluppo dei computer e dalla modernizzazione tecnologica di questi ultimi decenni. Essi vengono utilizzati da
siti web e
piattaforme commerciali, al fine di elaborare in tempo reale le informazioni disseminate dagli utenti durante le loro
attività 'on line' e offrire servizi, informazioni e suggerimenti personalizzati. Ciò significa che motori di ricerca quali
Google, Facebook e altri sono, in realtà, delle
'macchine epistemologiche' le quali, in base a definizioni
arbitrarie o
'guidate' di popolarità e rilevanza, determinano la visibilità o meno di notizie, argomenti, fonti d'informazione. Tali tecniche producono, a loro volta,
nuove 'identità algoritmiche', che vengono assegnate a individui che credono di essere liberi nelle loro scelte, ma in realtà risultano
costantemente condizionati. La caratteristica più interessante degli
algoritmi è proprio questa: essi trasformano le nostre
esperienze 'on line' in un
involucro cucito su misura dai nostri
'click', dai nostri interessi e da quelli di coloro cui è stato assegnato il nostro
'profilo' di
utente. L'esercizio del potere algoritmico si dispiega come una sorta di
'agenda automatizzata', la quale viene scientemente applicata alla nostra
'vita digitale'. Essa non si costruisce in base al messaggio veicolato dai contenuti, ma secondo le
regole 'generative' dell'algoritmo stesso, in un processo dinamico mutuabile nel tempo. Il meccanismo è sostanzialmente quello della
'produzione della predizione', dunque più
statistico che
econometrico: l'obiettivo è cioè quello di dare ai
'consumatori digitali' quello che vogliono secondo un'approssimazione probabilistica dei loro desideri, massimizzando la loro soddisfazione e incrementando i profitti. Lo
'spettro' di tutto questo è il cosiddetto
'inconscio tecnologico'. Ovvero: la
produzione automatizzata della
vita quotidiana da parte di
tecnologie estremamente
potenti e, al contempo,
inconoscibili. Il
potere degli algoritmi sugli individui non è, pertanto, solo
epistemologico, ma diviene
'ontologico': non si limita a
mediare il nostro sapere, bensì va a
'costruire' la realtà stessa, varcando il confine tra
'virtuale' e
reale. La
'forma' dell'algoritmo rappresenta la sua stessa
'sostanza': non si limita a
'plasmarci', bensì siamo anche noi ad
adattarci a lui, al fine di utilizzarlo strategicamente. L'idea che la cultura, intesa in senso antropologico, si stia rapidamente trasformando in uno
'stimolo automatizzato' risultante dall'elaborazione algoritmica dei nostri stessi dati digitali tocca, esattamente in questo punto, la sua questione di fondo: dobbiamo
resistere a tale mutamento, oppure
accettarlo come un dato di fatto della modernità? Abbiamo visto come gli
algoritmi veicolino alcuni specifici assunti
statistici, o
probabilistici, finalizzandoli verso
obiettivi economici: in pratica, si cerca la
massimizzazione dei profitti attraverso la
riducibilità della complessità umana a un numero limitato di categorie relativamente stabili. La vera cultura algoritmica, insomma, è quella della
'normalizzazione' della curva di domanda, depurata da tutti gli elementi
'atipici' o
difficilmente prevedibili. L'esempio più classico è quello dei
siti che utilizzano il sistema di servizi
'Seo', i quali promettono di migliorare il posizionamento delle
pagine web sui
motori di ricerca: essi vengono deliberatamente
penalizzati dagli aggiornamenti di
Google, che premia quei contenuti che rispettano precisi
standard qualitativi. Ma questi ultimi, nonostante il loro impatto su scala globale, sono il prodotto di decisioni prese a
'porte chiuse' da un ristretto gruppo di aziende private. È dunque nei confronti di questo
'oligopolio', composto da soggetti quali
Google, Facebook, Amazon e altri, che la
politica dovrebbe
alzare la voce, per il semplice motivo che una
cultura suggerita automaticamente, già
selezionata 'a monte' e pronta per essere
consumata, non appartiene affatto agli
àlvei tipici delle democrazie. Ma tutto questo segnala, soprattutto, la vera questione dei nostri giorni: la
politica non soltanto risulta
debole in quanto
'travolta' dalla sua lunga
fase 'post ideolgica', bensì appare, in larga parte,
inconsapevole di simili
mostruosi fenomeni, ormai in fase di dispiegamento. Ed è proprio questa
non consapevolezza a impedire ogni
resistenza 'dal basso'.Per leggere la nostra rivista 'sfogliabile' cliccare QUI
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine' n. 25 - febbraio 2017)