E' andato in scena nei giorni scorsi, presso il
Teatro San Paolo in
Roma, la commedia
'nera' dal titolo
'Il futuro è donna', scritta e diretta da
Eduardo Ricciardelli e da lui interpretata al fianco di
Irma Ciaramella, Bernardino De Bernardis, Mariateresa Pascale, Elisabetta Ventura e
Marco Di Campli San Vito. Prodotto da
'Teatraltro', in collaborazione con
'Teatro Zeta', 'Rialto' e 'Ddb', la pièce cerca di riflettere sulla realtà segmentata dei nostri tempi, a cominciare dalle relazioni di coppia.
Due coppie di amanti si ritrovano a vivere vicende opposte, ma speculari: la prima si trova in una condizione di ricchezza e alterna le proprie giornate tra feste, ristoranti e viaggi nei luoghi più esclusivi; la seconda, viceversa, è angustiata dalle incombenze economiche, ma con una grande dignità e una sola speranza: quella di una vita migliore. Tuttavia, una serie di
vicende bizzarre e
inaspettate stravolgono le loro vite, legandoli in una singolare decisione: assoldare un
killer per eliminare il proprio partner.
'Il futuro è donna' è dunque un viaggio a mezza strada tra il
teatro dell'assurdo e il
cinema 'poliziottesco' degli anni 70, in cui a inseguimenti e sparatorie si cerca di sostituire il ritmo incalzante del testo. Tale sperimentazione, però, riesce
solo in parte: i riferimenti alla musica leggera, in alcuni casi risultano simpatici e surreali, altre volte molto meno, poiché tendono a conferire ai brani cantati in scena una funzione quasi da
spot pubblicitario, o comunque presentate come
astrazioni semplicistiche rispetto alla dura realtà quotidiana. Pur utilizzando
canzonette 'minori', lo spettatore corre il rischio di sentirsi coinvolto in un generico giudizio di
'mero intrattenimento' verso tutta l'arte musicale italiana presa nel suo complesso, che di certo non pretende di svolgere una
funzione-guida della società, ma si limita a
'fissarne' alcuni momenti. Parafrasando
Bennato: "Sono solo canzonette". Qualche buon monologo sulla
crisi dei rapporti di coppia riporta lo spettacolo sulla propria
'falsariga' di genere, ma rende ancor più distinguibile le non soddisfacenti, o non sempre appropriate,
'sortite' nell'assurdo, che dunque diventano elementi
marginali, di contorno, nell'economia complessiva della rappresentazione. Il materiale contenutistico è
buono, poiché corretta era l'idea di partenza: dimostrare come gli equilibri
dell'amore moderno non
'tengano' più sia nell'opulenza, sia quando si sopravvive a fatica. Insomma,
'Il futuro è donna' rappresenta una discesa tra gli inferi di una società in cui non esistono più
valori, né
principi, né
sacrifici in grado di fornire
stabili fondamenta al
progetto di vita tra due persone. Ma tale
progetto esiste realmente? Le due coppie rappresentate possiedono una
visione chiara di quello che vogliono, oppure vivono semplicemente alla giornata,
schiacciati sul presente? La seconda ipotesi sembra prevalere. Ed è questo il vero
spunto critico dell'autore: si è persa di vista ogni
idea di futuro, ormai
'involgarita' tra
incostanze e
ricatti reciproci. Benissimo. Ma, allora, perché un titolo come
'Il futuro è donna', se è proprio il
futuro a
non esistere? E perché richiamarsi alle
canzonette 'sanremesi'? Per spiegarci che la
felicità è un qualcosa che va ben al di là di
"un bicchiere di vino con un panino"? Noi crediamo che il pubblico questo già lo sapesse. E che non vi fosse alcun bisogno di sottolinearlo ulteriormente.