La cronaca delle ultime settimane ha dimostrato una volta di più, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l'importanza
dell'informazione libera e scevra dal
narcisismo populista. Partiamo dal primo fatto: il
3 gennaio è comparsa sul blog di
Beppe Grillo, organo ufficiale del
Movimento 5 Stelle, un'invettiva contro l'informazione e i giornali italiani, rei nella mente del comico genovese, di fare falsa propaganda contro le azioni e i membri del movimento, riportando
'false news' sulle principali testate di informazione.
Grillo ha usato toni infuocati al riguardo:
"I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese, con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate". Insomma, il
buon Beppe riesce ancora a strappare qualche
risata, nonostante i suoi giorni migliori di comicità siano ormai ampiamente trascorsi. Immediata la reazione del direttore del
Tg de
La7, Enrico Mentana, il quale, per difendere il proprio lavoro e quello dei suoi collaboratori, ha prontamente presentato una querela nei confronti del
'Garante' dei
5 Stelle, poi ritirata dopo la marcia indietro dello stesso
Grillo, che ha riconosciuto al telegiornale di
Mentana un'obiettività superiore a quella degli altri
Tg. Sia come sia, tornando alla
'filippica' del comico genovese in merito alla
'cattiva fede' dei media, la soluzione proposta sul blog era l'apoteosi del
populismo più becero:
"Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare, che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte, a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa, il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione". Una proposta molto
'rivoluzionaria', ma non nel senso
'romantico' del termine. Con questa idea,
Grillo ha proposto, in sostanza, che quelli che dovrebbero in teoria essere informati scelgano, in base al loro gusti e con il senno viziato da un'eventuale pregiudizio ideologico, quelle che sono le informazioni. Ora, va bene appellarsi al mito
'orwelliano' del
'Grande Fratello', ma questo concetto che esista una gigantesca
'piovra' che faccia di tutto per screditare l'operato dei
5 Stelle è quantomeno
risibile, se non
paranoica. Forse, dopo aver brillantemente aperto le porte ad un
garantismo 'moderato' con l'approvazione del nuovo
'Codice etico' nel quale si ammette che i rappresentanti del movimento che dovessero ricevere un avviso di garanzia non dovranno più dimettersi immediatamente dal loro ufficio, sarebbe anche ora che i
5 Stelle comprendessero che la quesitone è un'altra. E cioè che
l'informazione libera è una cosa, la diffusione di
commenti e
'bufale' su
blog e siti di
'pseudo-informazione' un'altra. Intorno a ciò, oltre a sottolineare come il dibattito sia già stato ampiamente affrontato dai vari
Ordini interregionali dei
giornalisti, si sta persino provvedendo con l'ideazione di un
comitato di vigilanza su i
nternet. Che è sempre meglio della creazione di un moderno
'Minculpop' di autoritaria memoria, questa volta composto da cittadini competenti. Spostandoci più a sud, il secondo scontro è stato quello tra il
sindaco di Napoli, Antonio de Magistris e lo scrittore di
'Gomorra', Roberto Saviano. Da sempre impegnato nella lotta alla criminalità organizzata,
Saviano è stato accusato dal
sindaco di accrescere la propria popolarità speculando sulle sofferenze del cittadini partenopei:
"Caro Saviano", ha scritto
de Magistris su
Facebook, "sei diventato un 'brand' che tira se tira una certa narrazione". Rivanganti i suoi trascorsi da magistrato e il suo impegno contro la camorra, il sindaco ha poi messo in mostra i propri successi nella città: l'aumento del turismo; la cultura; la pulizia; addirittura la rottura del rapporto tra mafia e politica (dove de Magistris abbia recuperato questo dato resta, comunque, un mistero di non facile verifica). L'invito finale all'autore è stato perciò quello di vivere la
nuova Napoli e di abbandonare il proprio
'brand'. Pronta la replica dello scrittore, che lo ricordiamo, giusto per correttezza, vive da dieci sotto scorta a causa di minacce camorristiche. Difendendo il proprio lavoro d'indagine e di divulgazione, anche
Saviano non ha utilizzato mezzi termini, ricordando una
sparatoria del 4 gennaio nel pieno centro di
Napoli in cui è stata ferita
una bambina di 10 anni e come le organizzazioni criminali stiano cambiando volto, estendendo la propria influenza alle fasce più giovani della popolazione, gli adolescenti delle
'baby-cosche', che per spirito di aggregazione e disagio sociale finiscono per affiliarsi alla
camorra (argomento trattato con lucida crudeltà nel suo ultimo romanzo:
'La paranza dei bambini', edito da
Feltrinelli).
"Di tutto ciò lui non ama parlare", ha spiegato
Saviano dalla sua pagina
Facebook, "e detesta che lo facciano altri (...). Ma che importa, dirà il sindaco: la realtà di Napoli sono le strade affollate e non i killer pronti a sparare nel mucchio, magari per un regolamento di conti o poche centinaia di euro. E il problema non sono i killer, per carità, ma Saviano che poi ne parlerà". Ebbene: questa vicenda, al pari dello scontro
Grillo/Mentana, in realtà ha messo in luce la disgustosa
deriva demagogica che ha preso il quotidiano
attacco all'informazione e a chi la fa. Saper distinguere tra
buona e
cattiva informazione è ben diverso dallo
'svilire' preventivamente l'operato di chi, anche a costo di gravi privazioni personali, come nel caso di
Saviano, è impegnato a portare alla luce la verità. Paradossalmente, è proprio l'atteggiamento del
'M5S' nei confronti dei
media che sta generando questa
'deriva populista' da
'quattro soldi'. Una degenerazione che, come si è visto, si estende anche ad altri ambienti, vuoi per mera miopia, vuoi per opportunità politica.