Giorgio MorinoNegli utlimi anni, siamo stati spesso accusati di essere 'disneyani': troppo entusiasti nel parlare di qualunque cosa provenga dagli 'studios' di Burbank, dove molti, ancora oggi, pensano si trovi l'enorme castello di Biancaneve. Che noi si nutra una certa passione e, in un certo senso, una sorta di timore reverenziale nell'approcciarci a qualunque cosa porti la firma di Walt Disney, in parte è realtà: d'altronde, senza questo 'colosso industriale', il moderno concetto di animazione neppure esisterebbe. E poi, ammettiamolo: volenti o nolenti, siamo tutti cresciuti guardando i suoi grandi 'classici'. Non si tratta, quindi, di timore reverenziale, quanto semmai di rispetto e ammirazione per una storia meravigliosa che, fortunatamente, nonostante alcuni gravi 'scivoloni' di inizio millennio, continua ancora oggi. Eppure, ci sono produzioni che le critiche, anche 'impietose', la Disney le merita a gran voce. Pellicole così sbagliate da non essere catalogabili solo come 'brutte', ma persino deleterie. 'Oceania', il 55esimo classico d'animazione 'made in Walt Disney', è una di queste. Le ragioni per cui 'Oceania' è un film devastante non si devono ricercare nella sua essenza tecnica o visiva, inattaccabile e a tratti sublime, o nella sua costruzione narrativa, dal momento che la storia procede senza troppi intoppi priva di 'buchi' di sceneggiatura o quant'altro. Quello che veramente sconcerta è l'enorme 'passo indietro' che gli 'studios' hanno deciso di compiere con questo film, a fronte degli enormi 'slanci in avanti' che erano stati fatti nel recente passato. La vicenda, per farla breve, è la seguente: c'è una ragazza che non si sente a suo agio nel suo ruolo di futura 'capo-villaggio' e che sogna di navigare l'oceano. Essa viene dunque insignita dall'oceano stesso (inteso come divinità) di una missione importante, che la porterà a trovare fiducia in se stessa, a salvare il suo popolo e una dea perduta: titoli di coda e arrivederci al prossimo Natale. Proprio qui giace la questione: 'Oceania' è un film banale. Di una banalità talmente sconcertante da far quasi venir voglia di andare a 'lavarsi gli occhi' dopo la visione. Ribadiamo: non si tratta un film visivamente 'inguardabile'. Al contrario, le animazioni elaborate al computer, graficamente sono un qualcosa di eccezionale. La banalità, purtroppo, si trova tutta nella protagonista, Vaiana: la solita principessa che si trova nella solita situazione di pericolo e che, come succede da un po' di tempo a questa parte, alla fine salva tutti anziché essere salvata. Va benissimo la strategia del 'girl-power' e l'immagine di una 'principessa salvifica', ma abbiamo davvero bisogno, all'alba del 2017, di altre 'principesse canterine'? Gli stessi valori non possono essere espressi in un altro modo e con altri personaggi, che magari non siano necessariamente alla ricerca di loro stessi attraverso una serie interminabile di canzoni? A febbraio 2016 era uscito 'Zootropolis', il 54esimo classico della Disney: un film capace di 'spiazzare' chiunque vi si trovasse di fronte al 'grande schermo' per la sua straordinaria capacità di affrontare, in maniera convincente, tematiche importanti come il razzismo e la discriminazione di genere, in un contesto tutto sommato 'fiabesco', ma credibile e immersivo, senza cadere nello 'stereotipo disneyano' della favola principesca. Prima di 'Zootropolis' era toccato, invece, a 'Ralph Spaccatutto',  il quale era riuscito, addirittura, a ridefinire il ruolo del 'cattivo': uno degli archetipi più tradizionali dell'universo Disney, dominato da personaggi 'malvagi' di tutto rispetto fin dal 1937, invitando a una riflessione importante sul superamento delle apparenze e sull'evitare giudizi affrettati. Tutto ciò senza mai ricorrere neanche a una canzone. Potrebbe sembrare 'pacifico', ma in realtà, nella filmografia 'disneyana', si è trattato di veri e propri 'balzi da gigante', per un genere di produzioni che aveva riproposto sempre lo stesso 'copione' per decenni, senza rinnovarsi. Ma dal momento che, con ogni probabilità, le 'principesse' vendono di più nei 'Disney Store', ecco nascere film come l'insopportabile 'Frozen' e, appunto, 'Oceania'. Il primo, in verità, con il suo superamento del concetto di 'vero amore' non è neanche male, se non fosse per le solite 'inutili canzonette' messe ogni cinque minuti per 'spezzettare', senza motivo alcuno, la narrazione. Ma nel caso di 'Oceania', il passo indietro è ben più grave e ingiustificabile: una vera e propria 'provocazione', soprattutto se si pensa che i registi, Ron Clements e John Musker, sono quelli che hanno realizzato autentici capolavori come 'La Sirenetta', 'Aladdin' ed 'Hercules' (quest'ultimo ha addirittura il merito di aver introdotto il concetto di disegno adattato al periodo storico in oggetto, con lo stile dei dipinti sulle anfore greche). Veniamo, dunque, alle note dolenti, in tutti i sensi: le canzoni. Fin dai tempi di 'Biancaneve e i sette nani', la Disney aveva impostato i propri progetti come 'musical', in cui musica e narrazione si completassero a vicenda, senza scontrarsi. In 'Oceania', invece, solo nella prima mezz'ora di film si possono contare almeno cinque canzoni a fronte dell'assoluto 'nulla' che avviene sullo schermo (la pellicola dura un'ora e mezza). Se il brano musicale non serve, perché inserirlo a viva forza, spingendo lo spettatore, inesorabilmente, verso la noia? Tra l'altro, non si tratta nemmeno di canzoni degne di rilievo artistico o poetico: in più della metà dei casi, il concetto espresso è: "Io ce la farò". Ora, anche noi siamo convinti che la stima in se stessi sia importante, ma al contempo ci sentiamo piuttosto consapoevoli che motivarsi una volta al giorno possa anche bastare, anziché cantarsi un rituale di auto-incoraggiamento cinque volte ogni mezz'ora. Uno dei 'motti' preferiti da Walt Disney era quello di andare sempre avanti. Dunque, questo è oggi il nostro invito verso la storica casa di produzione di disegni animati, per il 2017 e per i prossimi anni: basta con le canzoni. E basta con le principesse: non servono più.


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