Vittorio LussanaLa legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita ha visto confrontarsi il mondo della politica, della cultura e della scienza. La proposta referendaria dei radicali e delle forze politiche della sinistra laica e riformista ha ottenuto un grande successo, raccogliendo oltre un milione di firme. La legge è fortemente criticata negli stessi ambienti politico-culturali vicini alle forze politiche che l’hanno approvata, mentre c’e’ chi auspica una revisione senza il ricorso allo strumento referendario. Il successo ottenuto con la raccolta delle firme appartiene alla cultura laica del nostro Paese e rappresenta una prima risposta ad un Parlamento che ha prodotto una legge fondamentalista sotto una forte pressione confessionale. Sarà ora importante vigilare, affinché i cittadini non vengano derubati da chi tenta operazioni politiche finalizzate ad annullare i possibili esiti referendari. La Corte di Cassazione, lo scorso 15 dicembre, ha terminato il proprio lavoro di controllo sulla regolarità delle firme depositate. E, proprio in questi giorni, la Corte Costituzionale si è pronunciata intorno alla legittimità dei referendum proposti al vaglio del corpo elettorale italiano.
Ci appare ora onesto ed opportuno approfondire alcuni aspetti legati alle cosiddette ‘biotecniologie’ e più in generale ai nuovi orizzonti della ricerca scientifica, andando ad analizzare quali problemi etici si possano effettivamente incontrare relativamente a questi temi.
La legge sulla fecondazione medicalmente assistita vieta ogni forma di sperimentazione scientifica sugli embrioni. Ciò, al fine di tutelare questi ultimi in qualità di esseri viventi ed impedire la loro clonazione a fini terapeutici. Il termine clonazione in biologia indica la duplicazione del patrimonio genetico di un essere vivente, dunque la possibilità di riuscire a duplicare virus, batteri, molecole, piante, organismi e anche animali. L’espressione viene perciò usata negli ambienti scientifici come sinonimo di ‘riproduzione asessuale’, poiché si riproducono biologicamente interi organismi senza far riferimento alla sessualità. Infatti, secondo tali procedimenti, il fenomeno della nascita cellulare non avviene per accoppiamento sessuale, bensì mediante duplicazione di un clone da un ceppo genetico originario. Nella clonazione, insomma, non si richiede alcun procedimento di natura sessuale, poiché i cromosomi dell’ovulo vengono ‘enucleati’.
La prima clonazione di animali avvenne negli anni ’50 su alcune rane, per la relativa facilità di monitoraggio del processo riproduttivo di queste. Infatti, gli anfibi, in una singola ovulazione, in genere producono un’abbondante quantità di ovuli i quali, se fecondati, possono generare embrioni facilmente coltivabili in vitro. Ciò ha permesso ai primi ricercatori di osservare con facilità le tappe evolutive degli embrioni di rana, cioè lo sviluppo dei singoli organi, del cervello, del fegato e così via.
Un secondo obiettivo venne raggiunto nella seconda metà degli anni ’70 con la clonazione di un frammento di DNA, la scoperta degli ‘enzimi di restrizione’ – un procedimento chimico in grado di selezionare punti specifici del DNA stesso - e la prima sperimentazione di una ‘molecola – vettore’ di DNA nella quale inserire la matrice genetica da clonare. Infine, in quegli stessi anni venne studiato un ambiente dove il vettore contenente il DNA ricombinato potesse propagarsi.
Il terzo importante traguardo scientifico raggiunto nel settore delle biotecnologie fu il successo di un esperimento di clonazione di mammiferi avvenuto alla fine del 1979. Si trattò di un procedimento di moltiplicazione di embrioni reso possibile mediante separazione dei blastomeri di un embrione. Secondo questa innovativa tecnica, quando ovulo e spermatozoo si incontrano, si forma un embrione. Questo, inizialmente, è monocellulare, ma poi riesce a moltiplicarsi in due cellule, successivamente in quattro, poi ancora in otto, in sedici e così via. Queste cellule, definite appunto blastomeri, risultavano geneticamente identiche, ovvero possedevano le medesime caratteristiche dell’embrione originario. Ognuno di questi blastomeri, se staccato dagli altri, essendo dotato di ‘totipotenzialità’, ovvero della facoltà di riprodursi da solo, dava origine a un embrione identico a quello dal quale era stato separato. E ciò rappresentava la riproduzione scientifica, in laboratorio e su ampia scala, di quanto avviene in natura con i cosiddetti gemelli omozigoti.
Il quarto importante passaggio scientifico fu quello che portò al perfezionamento di tali tecniche, ottenendo una miglior tecnologia di separazione dei blastomeri. Nel 1993 questi procedimenti vennero applicati per la prima volta su embrioni umani. E, nell’autunno di quell’anno, i medici ricercatori Hall e Stillman della George Washington University annunciarono, nel corso di un congresso medico internazionale, il successo di un loro esperimento di clonazione di 17 embrioni umani mediante fecondazione in vitro, processo che aveva prodotto 48 embrioni geneticamente identici.
Relativamente recente è il caso della pecora scozzese ‘Dolly’. Attraverso una metodologia di duplicazione di alcune cellule adulte senza l’intervento di spermatozoi, alcuni studiosi britannici si sono serviti di due pecore per generarne una terza: dalla prima hanno prelevato un ovulo, dalla seconda delle comuni cellule della mammella. Dall’ovulo del primo animale è stato poi tolto il nucleo il quale, sottoposto ad uno speciale campo elettrico, è riuscito ad unirsi con le cellule della mammella dell’altra pecora: il risultato fu la nascita di Dolly.
Se un simile esperimento venisse applicato all’uomo, sarebbe molto probabile la possibilità di raggiungere una tecnica di creazione di persone umane senza più la necessità di un intervento di spermatozoi, bensì semplicemente clonando una propria cellula: si potrebbe, cioè, avere un figlio da se stessi, per poi affittare un utero dove trasferire l’embrione per la sua crescita e conseguente sviluppo.
Preoccupazioni intorno al tema della clonazione emergono da numerosi ambienti religiosi, scientifici e da quello dei mass media. Molta apprensione, tuttavia, è causata da articoli di giornali, riviste, libri, show televisivi e film tesi a disinformare l’opinione pubblica procurando allarmi ingiustificati. Pur essendo, infatti, molta parte di tale informazione assolutamente fantasiosa, l’opinione pubblica viene indotta ad avere una visione distorta della clonazione. Vengono sollevati problemi antropologici, etici e sociali improntati sul cosiddetto ‘complesso dello scienziato folle’, cioè del possibile avvento di un improbabile ‘Dottor Stranamore’ della biogenetica. In realtà, mediante le tecniche di clonazione si possono dare soluzioni straordinariamente positive a gravissime patologie umane. Mediante la ricombinazione del DNA, ad esempio, sono stati ricreati, nel 1983, elementi di codice genetico assai utili per la salute dell’uomo, come quello dell’insulina. E ciò con estrema facilità e a bassi costi, dal momento che la coltivazione di enormi quantità di colonie di batteri E. Coli rappresenta un procedimento scientifico relativamente semplice. Attraverso la clonazione si potrebbero, inoltre, trovare positive soluzioni a delicati problemi socio - sanitari come il cancro, le malattie debilitanti dell’invecchiamento, il miglioramento dell’alimentazione e persino dell’ambiente.
La clonazione animale viene invece generalmente effettuata per generare animali comuni a fini di sperimentazione e animali transgenici da utilizzare per la produzione di organi da trapiantare nell’uomo, oppure per la sperimentazione clinica di farmaci per mezzo di animali generati con specifiche malattie congenite, per produrre animali per la biocultura, cioè per la produzione alimentare, per la produzione di animali da compagnia o per la produzione industriale di pellicce. Esistendo una generale convergenza tra gli studiosi di bioetica nel riconoscere agli animali uno statuto etico, la clonazione animale potrebbe risultare eticamente accettabile a determinate condizioni:
A) che la produzione di animali avvenga a fini di sperimentazione (produzione di organi e farmaci);
B) che la loro produzione sia numericamente delimitata, affinché non venga eventualmente compromessa l’evoluzione dell’ecosistema zoologico planetario;
C) che la produzione di proteine e altre sostanze da animali sia in funzione strettamente terapeutica per l’uomo;
D) che la duplicazione di animali per alimentazioni tarate a scopo commerciale venga considerata sconveniente, poiché potrebbe immettere elementi degradanti dei quali non si conoscono conseguenze a lungo termine sulla salute umana.
Per quanto poi concerne la duplicazione di embrioni umani, essa di per sé non rappresenta qualcosa di intrinsecamente diabolico: offre possibilità immense per la promozione di una migliore qualità della vita. Occorre, però, riuscire a superare una serie di problemi molto seri. Di recente è stata espressa una forte preoccupazione per il possibile ampio numero di bambini identici che potrebbero risultare dalla separazione dei blastomeri. Tuttavia, simili paure appaiono ingiustificate, poiché le metodologie di duplicazione possiedono, allo stato attuale, possibilità numeriche molto limitate. La stessa biotecnologia applicata agli animali ha dimostrato che la percentuale di nascite vive, dal momento del trasferimento di un singolo embrione, è circa del 20 %. Perciò, se anche si ottenessero 15 embrioni in buona salute duplicati da un singolo embrione e questi fossero trasferiti in 15 differenti uteri, il numero possibile di aspettative di nascita non supererebbe il numero di tre.
Esiste, invece, una questione di maggior sostanza: nei bambini concepiti mediante clonazione embrionale può verificarsi una maggiore probabilità di malformazioni? Per quanto questo problema non possa essere adeguatamente approfondito fino a quando tali tecniche non verranno effettivamente sperimentate, l’esperienza dei procedimenti con animali ha dimostrato che questo genere di timori è fondato. Sono stati sollevati, inoltre, forti dubbi sulle conseguenze per l’evoluzione delle specie e sulle diversità genetiche tra gli esseri umani. In base a questo tipo di ipotesi, la vita si diffonde e si evolve grazie ad una serie di numerose ‘diversità’ le quali, mediante l’uso di tecniche di clonazione, potrebbero risultare, in qualche modo, turbate nel loro equilibrio naturale, terreno assolutamente sconosciuto per gli esseri umani. In sintesi, si tratta della cosiddetta ‘teoria degli effetti imprevedibili’ del quadro biologico naturale dei geni, soprattutto in un contesto di clonazione per trapianto nucleare nel quale molte 'copie' potrebbero essere generate da una sola persona. Infine, non sono da trascurare le inevitabili, seppur minime, possibilità di errori di laboratorio, che potrebbero far insorgere danni irreversibili sulla natura umana.
Tuttavia, il vero quesito etico di fondo, in questo genere di problematiche è un altro: con la clonazione viene messa a rischio la nostra unicità individuale? Ovvero: l’unicità di ogni persona, dunque il suo effettivo valore etico – umanistico, è assegnato dalla peculiarità del suo patrimonio genetico o dalla sua realtà esperienziale personale? Insomma: che cos’è realmente l’individualità personale? Certamente, l’individualità biologica non corrisponde a quella personale, poiché ogni persona è ben più della sua realtà biologica: l’uomo è il proprio corpo biologico, ma non è ‘solo corpo’. Per quanto una persona possa essere generata mediante duplicazione embrionale, se anche mancherà della sua unicità genetica non potrà certamente mancare della propria unicità individuale, come nel caso dei cosiddetti 'gemelli identici'. In tal senso, non sarebbe la duplicazione biologica a generare gravissimi problemi, bensì le interferenze sulla personalità di coscienza dell’essere umano, vale a dire sulla consapevolezza della propria dignità individuale e di quella sociale attribuita dagli altri.
Secondo alcuni studiosi, non esisterebbe un diritto all’unicità genetica, poiché esso risulterebbe già violato in natura nel caso dei gemelli identici. Va anche osservato, però, che nel caso dei gemelli identici tale unicità genetica manchi per effetto della cosiddetta ‘casualità naturale’ mentre, attraverso la clonazione, la duplicazione risulta deliberata volutamente. Ci si ritrova, dunque, molto vicini alla questione della distinzione scientifica tra aborto spontaneo e deliberato: esiste violazione di diritti? Forse sì: quelli naturali. Inoltre, è sempre possibile che gemelli clonati nascano in tempi diversi, in quanto trasferiti nell’utero della madre anche a distanza di anni. Ciò pone un problema molto serio circa l’identità della persona, ovvero quello di chi, sapendo la storia biologica del proprio fratello, identico ma più grande di 5 o 10 anni poiché impiantato prima, possa non gradire di sapere come diventerà crescendo: non rappresenta un’esistenza felice quella di vivere temendo che la morte del fratello più grande, avvenuta per malattia genetica o per altra malattia, potrebbe con molta probabilità risultare il nostro medesimo destino.
La clonazione, si dice, apre la strada al miglioramento eugenetico dell’uomo. Ma chi stabilisce i criteri per decidere quale tipo di uomo è migliore? Chi stabilisce il giusto valore della natura umana? Pur essendo auspicabile, in sede di miglioramento della qualità della vita e pur generando comprensibilissime speranze per uno sviluppo definitivo della scienza medica, al fine di sconfiggere numerose e gravissime malattie, i nodi etici e sostanziali intorno alla questione della clonazione e delle sue implicazioni con i problemi valoriali della natura umana sono, pertanto, così sintetizzabili:
1) il concetto di miglioramento della natura umana è materia di giudizio soggettivo;
2) il miglioramento non terapeutico apre la strada alla costruzione dell’uomo perfetto;
3) la costruzione di uomini migliori di altri può infrangere il principio di uguaglianza fra gli esseri umani;
4) i rischi per le future generazioni non appaiono realisticamente controllabili.
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