Di solito, quando nelle librerie esce un
libro che riscuote un ampio
successo commerciale, trascinandosi dietro una lunga serie di critiche e polemiche, è solo questione di tempo: prima o poi, la suddetta opera troverà la sua
trasposizione cinematografica. I romanzi di
Dan Brown, ex professore d'inglese del
New Hampshire e lo straordinario fuoco incrociato di polemiche sui contenuti che ne hanno accompagnato l'uscita, hanno sicuramente trovato terreno fertile in cui prosperare negli studi di
Hollywood. Affidandosi nuovamente al dinamico duo,
Ron Howard - Tom Hanks, dopo i fuochi d'artificio de
'Il codice da Vinci' nel
2006 e il meno
'scoppiettante' successo di
'Angeli & Demoni' nel
2009, ecco
'Inferno', nuovo capitolo delle avventure del professor
Robert Langdon, esperto di simbologia e immaginario
'alter ego' di
Dan Brown stesso. In questa nuova epopea, il professore si sveglia in un ospedale con una ferita alla testa, senza ricordare dove si trovi, né cosa sia successo negli ultimi giorni. Senza sapere come,
Langdon si troverà nuovamente al centro di una forsennata
caccia all'uomo, in cui l'obiettivo è proprio lui e le informazioni in suo possesso su una possibile
minaccia 'bio-terroristica': una nuova
'peste nera' che decimerà la popolazione mondiale. Con l'aiuto della dottoressa
Brooks, sua nuova compagna in questo allucinante viaggio, un
Langdon spaesato e in preda alle allucinazioni affronta l'enigma più complesso della sua carriera, nella meravigliosa cornice offerta dalla città di
Firenze. Ora, mettiamo immediatamente dei
'paletti' che facilitino il procedere del dibattito:
'Inferno' non è tecnicamente un film
'brutto'. Nel senso che
Ron Howard non è fisicamente in grado di girare qualcosa che si posizioni
sotto la sufficienza. E
Tom Hanks riesce a dimostrarsi
'credibile', nei panni di un
Langdon confuso e inconsapevole di quanto gli sta succedendo intorno. A essere piuttosto carente, in questa pellicola, è stata la
sceneggiatura. I romanzi di
Dan Brown, a un'attenta lettura, si presentano sempre con lo stesso, prevedibile,
schema fisso: il protagonista è chiamato a risolvere
un enigma; un'organizzazione
segreta si mette alle
'calcagna' del protagonista per impedirgli di arrivare alla soluzione; il protagonista risolve l'enigma facendo emergere una
visione inedita degli eventi narrati e un apparente
nuovo interrogativo etico-morale. Questo impianto si era presentato in maniera quasi integrale ne
'Il codice da Vinci'; con qualche variazione rispetto alla trama originale in
'Angeli & Demoni', pur senza sostanziali modifiche al senso complessivo dell'opera.
'Inferno', invece, si è deciso di mantenere sostanzialmente invariato lo svolgersi degli eventi, salvo poi distruggere un lavoro tutto sommato gradevole con un finale
'scialbo' e in
totale contraddizione con il messaggio finale del
libro. Nelle pagine di
Dan Brown, il
virus creato dal miliardario e geniale ingegnere genetico
Bertrand Zobrist si rivela essere non una nuova
'peste nera', ma un
'vettore virale', creato in laboratorio, che avrebbe modificato il
Dna della
razza umana, in modo da renderne
sterile circa un terzo in maniera casuale. Questo perché
Zobrist, nel libro come nel film, è sinceramente preoccupato del continuo
espandersi dell'umanità e della
distruzione delle risorse terrestri che una crescita incontrollata comporta. Senza dover
'sterminare' un'intera razza,
Zobrist decide di affidare alla scienza e al
'caos' il compito di
evitare 'l'Inferno' sulla
Terra. Nel film, invece,
Zobrist finisce per essere ritratto come
uno psicopatico 'fissato' per
'l'Inferno' di
Dante, il quale ha preparato un'enigma estenuante per un suo fantomatico seguace, al fine di trovare la
'sacca' che contiene il
'ceppo' della
'pestilenza'. Risultato:
Langdon evita la rottura della sacca e la diffusione del virus,
lieto fine e sipario. Uno dei difetti più grandi di
Hollywood è la ricerca spasmodica del
'lieto fine', dell'eroe che salva la situazione e della
fiducia nel genere umano e nelle sue infinite possibilità: un'idea decisamente
'opinabile'. Se c'era un pregio nella prosa di
'Inferno' era proprio la posizione di
Zobrist, il suo ricercare una
soluzione equa e casuale a un
problema reale come il
sovrappopolamento terrestre. "Per arrivare a un miliardo, la razza umana ha impiegato quasi 800 anni; per raddoppiare c'è voluto un secolo; per arrivare a 4 miliardi meno di 70 anni": questo, in sintesi, il
'succo' del ragionamento di
Zobrist. Ciò che è stato fatto con il finale del film
'Inferno' può paragonarsi a un atto di
'codardìa intellettuale', uno sfuggire una problematica con la promessa di
'ripensarci in seguito'. Non sempre un finale
eticamente edificante risulta
utile. In questo caso, è addirittura
'deleterio'. Scomodare
Dante e la sua visione dell'inferno nella costruzione degli enigmi e nelle fastidiose visioni di
Langdon è risultata
un'impudenza. Così come lasciano a
'bocca aperta' le
inesattezze storiche che abbondano sia nel libro, sia nel film. Uno su tutti: la
maschera funebre di Dante, conservata a
Palazzo Vecchio che, in realtà, è una
ricostruzione del 1915, non un'originale calco funebre del poeta. Ma si sa, di persone realmente a conoscenza della
Storia e della
Storia dell'arte il nostro Paese non abbonda: figurarsi negli
Usa. Se non altro, un film del genere invoglia a visitare
l'Italia e le sue bellezze: un
'manifesto turistico' in grande stile. Per il resto, un
vero inferno.