
La politica italiana non riesce a esprimere, ormai da molto tempo,
contenuti reali ed efficaci, che corrispondano agli interessi
concreti dei cittadini. Ciò accade per una serie di esigenze
propagandistiche e
mediatiche che stanno facendo
più male che bene alla stabilità del Paese. Innanzitutto, continua a mancare una corretta
analisi sociale: un compito da tempo
‘delegato’ al mondo della cultura, della produzione artistica e della cosiddetta
‘intellighentia’ intellettuale. La quale, ovviamente, ha un proprio modo di vedere le cose che
non si sovrappone affatto con i temi che la politica affronta o tende a esprimere giorno per giorno. Ciò accade anche perché la
politica continua a non volersi occupare della
cultura, abbandonando a se stesse quelle zone del Paese che, come nel caso della città di
Roma – ma anche di
Napoli o
Venezia - per tradizione millenaria e secolare hanno nel proprio
patrimonio ‘artistico-culturale’ il loro principale settore di competenza, anche sotto il profilo organizzativo, turistico o aziendale in senso stretto.
“Con la cultura non si mangia”: questo è stato il
‘mostruoso’ slogan coniato dei
Governi di centrodestra degli anni passati. Ma anche chi si è successivamente avvicendato agli
esecutivi ‘berlusconiani’ non si è discostato di molto da un simile
pregiudizio. Un preconcetto che, sin dai
‘gloriosi’ anni di
Renato Nicolini, persiste nel voler considerare l’arte e la cultura:
“Il regno dell’effimero”. Per quanto riguarda il
Partito democratico, dispiace sottolineare una
stucchevole mancanza d’iniziativa che ha limitato ogni tentativo di
‘inveramento’ di una
politica culturale innovativa ed efficace. Anche in questo campo, il
‘renzismo’ ha finito col rivelarsi una
‘scopiazzatura’ del
‘berlusconismo’, in una
ricerca astratta di
slogan e meri
annunci propagandistici che hanno preso il posto delle
scelte coerenti con gli
obiettivi programmatici. Quel che, anche a sinistra, non si comprende del tutto, a causa di una
vecchia ‘mentalità’ ideologica e burocratica, è che la politica, nella sua azione, può anche permettersi il
‘lusso’ di adeguarsi al livello di maturità delle masse,
‘segnare il passo’ con esse, persino fermarsi con esse, se necessario, come accade che con esse
‘esploda’. Ma continuerà a chiamarsi
cultura quell’attività che, non impegnandosi in nessuna forma di
azione politica ‘diretta’, saprà andare avanti sulla strada della
ricerca della verità. Perché la linea che divide la
‘buona’ cultura da quella
‘cattiva’ non s’identifica affatto con quella che separa le politiche
‘migliori’ da quelle
‘peggiori’. Si tratta di una
‘sana’ distinzione liberale, che il nostro
‘sistema-Paese’, assistenzialista e clientelare per definizione, non ha alcuna intenzione di voler comprendere e applicare.
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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 22 - novembre 2016)