Vittorio LussanaAlcune tendenze al 'macchiettismo' e alla superficialità hanno sempre fatto capolino nella nostra industria cinematografica. Sino a prendere decisamente il sopravvento, proponendo al pubblico lavori sempre più di evasione e sempre meno di analisi o riflessione. Un 'riflusso' che dura, ormai, da più di 30 anni e che viene giustificato con alcuni risultati puramente momentanei, come per esempio il successo del primissimo lavoro di Aldo, Giovanni e Giacomo, 'Tre uomini e una gamba', o quelli più recenti del caricaturista Checco Zalone. Ma si tratta di entusiasmi sopra le righe, assai stravaganti se si prendono in considerazione le condizioni reali del cinema italiano. Un settore che sta gettando sul lastrico moltissimi lavoratori dello spettacolo, nella più totale assenza di ogni politica culturale. I film di Checco Zalone ottengono successo presso il pubblico poiché favoriti da una distribuzione generosa e massiccia, enormemente avvantaggiata rispetto ad altri lungometraggi ben più significativi sotto il profilo artistico e culturale. Siamo ancora 'impaludati' tra i limiti di quella concezione sintetizzata dalla frase: "Con la cultura non si mangia". Un vero e proprio 'diktat', che sta appiattendo sempre più verso il basso la mentalità, già di per sé piccolo borghese, degli italiani. Ma si tratta di un'imposizione 'subliminale', solo apparentemente assoluta, derivante da un mercato caduto già da tempo tra le mani del più forte. Una condizione di 'monopolio' che riesce a mantenere una posizione privilegiata proprio a causa dei difetti di un 'sistema-Paese' che ha sempre sottovalutato ogni cultura di libera iniziativa e di sana concorrenza perfetta, lasciandosi fagocitare dalle bieche logiche del 'marketing' commerciale, esclusivamente basate sulla catena 'produzione/distribuzione/esercizio/massmedia'. Un sistema che premia chi ha più potere, o chi si ritrova in una posizione dominante all'interno di un mercato che libero non lo è più. La potenza distributiva di 'Medusa', per esempio, tende sostanzialmente a privilegiare prodotti di basso consumo e di scadente qualità artistica per meri scopi di profitto, quasi mai riequilibrati da esigenze di conoscenza artistica o di sollecitazione dello spirito critico dei cittadini, considerati come semplici 'utenti/consumatori'. E i buoni incassi di alcuni 'filmetti' di 'bassa cucina', oltre a santificare attori e personaggi che non vanno al di là di alcune indubbie capacità da 'cabaret', non bastano a risollevare una situazione finanziaria a dir poco disastrosa, bensì finiscono unicamente con l'arricchire l'unico produttore e distributore rimasto sul mercato. Tutto ciò rende il cinema italiano un'industria le cui sorti risultano ormai legate, 'mani e piedi', al successo commerciale di qualche 'commediola' di provincia. Un cinema costretto a ripudiare non solamente le proprie discendenze più nobili, ma persino quelle più leggere e di costume.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
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Marina - Urbino (PU) - Mail - mercoledi 7 settembre 2016 11.14
Grazie, direttore, per la sua versatilità.
Roberto - Roma - Mail - martedi 6 settembre 2016 12.58
In questo genere di argomenti, impossibile darle torto......


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