Alberto Franceschini è stato il fondatore storico, insieme a Renato Curcio, delle Brigate Rosse: ecco il suo parere sulla concessione di un provvedimento di clemenza nei confronti di Adriano Sofri.

Alberto Franceschini, qual è il tuo pensiero sulla vicenda Sofri dopo quanto accaduto?
“Penso che siamo di fronte ad una situazione veramente assurda: al di là dell’innocenza o della colpevolezza di Sofri, tutto si riferisce ad eventi talmente lontani nel tempo e così acclarati, da rendere il suo stato di detenzione una vicenda decisamente clamorosa. Anche se fosse colpevole, Adriano Sofri non è certamente persona che, una volta rimesso in libertà, reitererebbe il reato per cui è stato condannato”.

Ma tu ritieni che Sofri sia stato veramente il mandante morale dell’omicidio del commissario Calabresi?
“Su questo non sono in grado di dare una risposta, anche perché definire una persona ‘mandante morale’ è una questione assai complessa. Io sono stato condannato, ad esempio, come mandante morale ‘anomalo’ rispetto all’omicidio dei due fascisti di Padova del 1974. Ma la legge italiana, su questo punto, è talmente cervellotica che la definizione stessa di tale fattispecie di reato diviene difficile, per non dire evanescente. Dal punto di vista giudiziario, Sofri è stato condannato con sentenza definitiva, dunque legalmente è colpevole. Tuttavia, ritengo abbia tutto il diritto di dichiararsi, di pensarsi e di considerarsi innocente, poiché gli errori giudiziari esistono, eccome…”.

Cosa può succedere adesso, secondo te?
“La questione si è talmente complicata che è veramente difficile riuscire a capire cosa può accadere di nuovo. Personalmente, spero proprio che il Presidente della Repubblica, ad un certo punto, gli dia la grazia in piena autonomia. Ho letto che recentemente ha premiato con una medaglia al valore la moglie della vittima Calabresi: forse questo fatto può anche essere interpretato come un passo di avvicinamento ad un provvedimento di clemenza nei confronti di Sofri”.

Non pensi che il Presidente Ciampi si aspettasse dal parlamento una riforma costituzionale che elimini la dualità di potere tra Capo dello Stato e Ministro di Grazia e Giustizia nell’ambito giuridico di concessione della grazia?
“Se così è, allora vuol dire che dovremo attendere altri anni. In ogni caso, sia dal punto di vista legale, sia da quello costituzionale, mi sembra difficile prevedere cosa potrà accadere in futuro. La situazione rimane assurda: da una parte c’è Adriano che si è fissato a non voler chiedere il provvedimento, poiché si ritiene innocente. Dall’altra, a livello politico, l’attuale Ministro della Giustizia è esponente del partito più ostile a qualsiasi provvedimento di clemenza nei suoi confronti. E’ una situazione di stallo”.

Il Quirinale ha anche fatto sapere che l’interpretazione corretta dell’art. 89 C. è quella di un potere di concessione della grazia che dev’essere espressamente controfirmato dal Ministro di Grazia e Giustizia, vincolando così l’utilizzo giuridico dell’articolo 681 del codice di procedura penale…
“Si tratta di un vincolo giuridico, non politico: il vero problema è che la Lega Nord è contraria a proporre il provvedimento e il Capo dello Stato non può forzare la ratio di una norma costituzionale”.

Che cosa pensi della grazia in generale: la vedi come un atto di debolezza?
“Anche intorno alla questione della grazia in sé, si è fatta molta demagogia: essa non è affatto un atto di debolezza. Anzi, dopo tanti anni lo Stato avrebbe finalmente l’occasione di manifestare il proprio buon governo, la propria razionalità e la propria capacità di comprensione di come si muovono le cose nel mondo, proprio in un momento delicato come questo. La grazia per Adriano Sofri non sarebbe un atto di debolezza dello Stato, checché se ne dica…”.

E come si sono mosse le cose, nel mondo, in certi anni?
“Se ti riferisci agli anni ’70, essi sono stati molto diversi da quelli attuali. Era un tempo in cui vigeva l’emergenza terroristica, nel nostro Paese, un’emergenza interna, diversa da quella di adesso: il nemico era in casa, non fuori dai confini. In quegli anni ci sono stati una serie di eventi sanguinosi i quali, però, non sono di certo attribuibili all’estrema sinistra”.

Tu ritieni sia ormai maturo il tempo per gettarci definitivamente alle spalle i cosiddetti ‘anni di piombo’?
“Come ho anche scritto nel mio libro, uscito di recente e intitolato ‘Che cosa sono le BR?’, credo proprio di sì. Credo cioè che, rispetto a ciò che è stato il nostro terrorismo degli anni settanta, si stia ormai avvicinando il momento per chiudere una ‘partita giuridica’ per iniziare una riflessione seria da un punto di vista storico-politico. La qual cosa, in verità, non è ancora stata fatta”.

E cos’altro racconti nel tuo libro?
“Intanto, il mio è un libro-intervista: il giornalista di ‘Panorama’ Giovanni Fasanella mi pone una lunga serie di domande, alle quali io rispondo rileggendo, il più sinceramente possibile, quel periodo. C’è poi una postfazione del giudice Rosario Priore, ovverosia proprio del magistrato che ha indagato su tante vicende di quel periodo. Insomma, è il tentativo di costruire un ragionamento di confronto fornendo giudizi, spiegazioni e pareri fra soggetti molto diversi, intorno ad un’epoca vissuta in maniera differente o su versanti addirittura opposti: ad esempio, negli anni ’70 Fasanella viveva a Torino, faceva il giornalista a ‘l’Unità’ ed era stato condannato a morte dalle Br…”.

Quali considerazioni conclusive hai raggiunto tramite questi ragionamenti?
“Il libro non arriva a delle conclusioni specifiche perché, purtroppo, la storia del terrorismo italiano è talmente intricata che ancora è presto per tirare delle somme definitive. E’ il tentativo di rilettura di un percorso per fornire la mia interpretazione soggettiva di quegli anni, anche in base alle esperienze vissute e ai rapporti con le persone che li hanno caratterizzati, basandomi su elementi certi di prova giuridica, poiché esistono numerosi atti che possono dare informazioni credibili riguardo a molte cose…”.

Anna Laura Braghetti ti ha citato nel libro ‘Il prigioniero’ mettendoti in relazione al sequestro del giudice Sossi: fosti tu ad organizzare quell’operazione?
“Sì, fui io. Infatti, nel mio libro, in un certo senso rispondo ad Anna Laura in maniera dettagliata, dicendo cose che fino ad oggi non sono mai state chiarite. E che possono anche venir riallacciate al sequestro Moro come eccellenti ‘chiavi’ interpretative”.

Sossi però venne rilasciato: perché ciò non fu possibile con Moro?
“Probabilmente, proprio per quello che ho scritto: nelle due vicende hanno giocato un ruolo importante motivazioni politiche, ma anche altre di tipo personale, caratteriale e di natura antropologica di chi ha ideato l’azione del sequestro Moro, convinzioni che io, già allora, ritenevo sbagliate. I soggetti che hanno gestito l’operazione Moro ragionavano all’interno di una logica fortemente ideologico-dimostrativa. Tale caratteristica era già presente nell’operazione Sossi: alcuni di noi erano per la liberazione, altri per la condanna a maorte del magistrato”.

Intendi dire che nelle Brigate Rosse era presente un’ala 'trattativista' nei confronti dello Stato?
“Sto dicendo che c’era un’ala effettivamente politica, che concepiva le azioni all’interno di una logica di obiettivi e di risultati politici. E’ chiaro che, se si vuole arrivare a ciò, devi considerare dei punti di compromesso possibile con la controparte, poiché la politica stessa è la ricerca di un punto di incontro. Ma nelle Br si stava ormai evidenziando un’altra componente, più fondamentalista, che faceva capo a Moretti, la quale, più che alla politica, era legata a dei principi ideologici secondo i quali il problema principale era dimostrare che le Br erano risolute e assolutamente in grado di rimanere estremamente coerenti, andando sino in fondo ai propri intendimenti”.

Dunque Moro muore a causa della 'coerenza dimostrativa' delle Br?
“In quella vicenda ha finito col prevaricare la componente cultural-caratteriale dei soggetti che hanno gestito quella partita, i quali avevano già tentato di condizionare il sequestro Sossi proprio al fine di indirizzare la vicenda in un modo diverso. Ma ci sono anche altri elementi interessanti da analizzare: movimenti e mosse di vario genere da parte di alcuni settori di potere dello Stato. Ed anche questo era già percepibile nel corso del ‘sequestro Sossi’. Nel mio libro viene documentato proprio il fatto che uno degli uomini chiave dell’operazione era un elemento legato agli affari riservati. E questa non è una cosa che sto inventando io adesso: esiste agli atti giudiziari”.

Quindi, i servizi segreti avevano già da tempo infiltrato degli uomini tra di voi?
“Certo, uomini che sapevano bene sin dall’inizio quel che stavamo facendo e che erano intenzionati a manovrarci. Le azioni ideate in quegli anni, come minimo ce le hanno lasciate fare, nel tentativo di condizionarci lungo il corso delle operazioni. Ed erano loro a volere la morte del giudice Sossi. Ma per ulteriori approfondimenti vi rimando al mio libro, nel quale quel che sto dicendo viene ben documentato”.

Secondo te, gli italiani sono un popolo giustizialista o possono ancora vantare quel famoso primato morale e civile di cui ha scritto Cesare Beccaria?
“Credo che, nonostante tutti i tentativi di Giuliano Ferrara di far diventare dei terroristi, islamici o cristiani, anche noi, in un Paese come il nostro forme estreme di terrorismo non possano funzionare, poiché esiste una profonda cultura degli italiani che si rifà al cristianesimo e al cattolicesimo. Resiste ben viva, cioè, una cultura della mediazione, del trovare un punto di compromesso, che rimane valore forte, importante, per gli italiani, assolutamente da salvaguardare. E dico ciò, riflettendo proprio alla luce della mia esperienza personale”.

Eppure, certe forze politiche sembrano talvolta subire il fascino di un certo populismo…
“Sì, talvolta accade, ma il qualunquismo dell’italiano medio rimane componente sociale minoritaria, esposta a rischi di ‘plasmabilità’, anche se può risultare pericolosa, in quanto utilizzabile in vario modo. La Lega, ad esempio, cerca di intercettare questo tipo di inculturazione, a fini di protesta demagogica, nelle aree del nord. An, talvolta fa lo stesso nel sud. Inoltre, esiste una certa componente provincialista dell’italiano: quella di farsi innanzitutto gli affari suoi, ripiegando esageratamente sul privato per una sorta di cattiva abitudine piccolo-borghese”.

Socrate diceva che, in teoria, il governo dei filosofi e dei sapienti era cosa buona, ma che nella pratica rischiava fallimenti clamorosi: tu che ne pensi?
“Noi uomini di sinistra, che siamo stati anche di sinistra estrema, dovremmo riservare qualche riflessione in più sulla soggettività, sulle specificità e sulle variegate identità culturali degli italiani, anche se questo processo è molto difficile, in quanto carico di complessità. Il dinamismo di trasformazione di una società deve essere affiancato da migliori basi culturali. E la nostra riflessione deve dirigersi maggiormente al momento storico in cui si è realizzata l’unità nazionale, poiché già allora erano emerse contraddizioni importanti sull’indirizzo complessivo, regionalistico o centralistico, del Paese”.
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