Vittorio LussanaNegli anni della tanto vituperata prima Repubblica, i famosi 'pacchetti' di assunzione in Rai erano gestiti secondo la regola delle 'quote'. In pratica, a viale Mazzini si decideva di assumere un raccomandato dai democristiani, uno dai comunisti, uno dai socialisti e, infine, uno 'bravo', ovvero che lo meritava, poiché aveva vinto il concorso pubblico affidandosi unicamente alle proprie capacità. L'applicazione di tale metodologia, sin da allora relegava le assunzioni per merito in una condizione di marginalità. Ma con l'avvento della seconda Repubblica è stato fatto molto peggio: si è direttamente passati all'introduzione di formule contrattuali a tempo determinato, le quali hanno 'devastato' ogni singola redazione del nostro ente di Stato televisivo, precarizzando i rapporti professionali in base a un criterio di flessibilità inapplicabile sul mercato italiano delle telecomunicazioni. Di conseguenza, oggi non solo il professionista 'bravo', ma persino il 'raccomandato capace' non possono conquistare spazio alcuno, né ottenere percorsi alternativi di collaborazione. Ecco perché sarebbe necessario fare qualcosa di diverso, soprattutto in campo televisivo, magari utlizzando gli ampi spazi e le nuove possibilità introdotte dalla rete internet e dallo sviluppo tecnologico. Una piccola minoranza di redazioni (Rainews24, Tgcom, Skytg24, Report e Presa diretta) riescono a proporre, con pochissimi mezzi, un'informazione basata su servizi professionalmente e qualitativamente di buon livello. Ma tali lodevoli eccezioni sono solamente piccole 'isole', all'interno di un mondo televisivo appiattito sui 'reality' e sempre più a corto di idee. Il vero problema italiano è infatti quello di un mercato della comunicazione radio-televisiva 'colonizzato' da pochi soggetti, secondo un deformato modello di oligopolio sempre meno differenziato. Una condizione che la legge Gasparri (Legge n. 112 del 3 maggio 2004) si limitò a fotografare se non, addirittura, a rafforzare. Un mercato sostanzialmente 'protetto' e riservato a pochi, privo di reale concorrenza, soprattutto nel campo del reperimento delle risorse pubblicitarie. Condurre un programma televisivo o radiofonico, anche di successo, rimane una professione per 'privilegiati' sostenuti da rapporti di potere politico, economico o da altre situazioni 'feudali' di vero e proprio 'padrinaggio'. Tuttavia, a prescindere da queste 'tare di fondo' del nostro sistema televisivo, se è ormai assodato che un modello completamente sovvenzionato dallo Stato finisca col generare sprechi, rendite di posizione e un abbassamento qualitativo delle varie professionalità, a cominciare da quelle artistiche e autoriali, al contempo è sempre mancata, nel nostro 'anarcoide' Paese, una sincera visione dei mercati basata su forme di concorrenza 'leale', ovvero regolate da poche norme ma molto precise, chiare per tutti. Dopo il crollo dell'utopia comunista del 1989, l'Italia è rimasta in mezzo al 'guado' tra un vetusto corporativismo di Stato e un'innovativa visione liberale delle professioni, in grado di espellere dai mercati stessi strozzini, ricattatori e tutte le svariate e molteplici 'tecniche' di 'pirateria' economico-finanziaria che, qui da noi, imperano in ogni campo e settore. Insomma, riassumendo molto la questione, da una parte lo Stato proprio non funziona e, forse, non ha mai funzionato; dall'altra, la visione 'all'italiana' della libertà di mercato corrisponde a un Far West, in cui illeciti e scorrettezze hanno sempre avuto piena cittadinanza. Questa è la vera questione socioeconomica di fondo, che sta 'zavorrando' l'Italia in quasi tutti i campi e settori, compreso quello televisivo. Il quale, in questi ultimi decenni, non ha fatto altro che riflettere la decadenza del nostro 'sistema-Paese'. A meno che esso non intenda tradire la propria funzione sociale, anche il modello italiano delle telecomunicazioni deve ritrovare il coraggio di mostrare un mondo che vuole cambiare. E aiutare a cambiarlo.

Per leggere il numero di aprile 2016 della nostra rivista 'sfogliabile' cliccare QUI




Editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (n. 18 - aprile 2016)
Lascia il tuo commento

Massimo - Roma - Mail - martedi 19 aprile 2016 15.24
Quelli che i partiti ci mettevano, almeno li sceglievano in base a chi era bravo professionalmente, quindi un paracadutato messo da un partito, anche se di parte... era però un signor professionista!!
Roberto - Roma - Mail - martedi 19 aprile 2016 0.18
Non conosco il campo delle telecomunicazioni, ma ritengo che L'Italia è un paese dove, per buona parte, serve più stato e non il mercato. Un mercato ben regolato è un'idea utopica almeno quanto quella del monopolio dello stato. Un modello perfetto non esiste.


 1