Alla fine c'è riuscito. La cerimonia degli
Oscar 2016 sarà ufficialmente ricordata per aver consegnato a
Leonardo di Caprio, dopo decenni di rincorsa disperata e
'scippi' eclatanti, la tanto agognata statuetta dorata. Un vero e proprio inseguimento durato ventidue anni, quando nel
1994 ricevette la prima nomination per il ruolo del giovane mentalmente disabile
Arnie in
'Buon Compleanno Mr. Grape' e terminata con
'The Revenant' (pellicola che ha visto assegnarsi anche il premio per la miglior regia ad Alejandro González Iñárritu e alla meravigliosa fotografia di Emmanuel Lubezki) grazie all'interpretazione
'estrema' del cacciatore di pelli
Hugh Grass, nelle lande gelate del
North Dakota. Un ruolo
'estremo' ed estremamente impegnativo, che ha finalmente coronato il sogno dell'attore
'losangelino' e di tutti gli spettatori che, per anni, lo hanno sostenuto. Non c'è stato, tuttavia, solo
Di Caprio, nella
'notte delle stelle' americana: c'è stato anche il riconoscimento, tardivo come al solito, ma quanto mai meritato e liberatorio, per il maestro
Ennio Morricone. Grazie alla colonna sonora di
'The Hateful Eight', il compositore romano ha potuto finalmente coronare una carriera sublime e irripetibile, costellata di successi indimenticabili come
'Il buono, il brutto e il cattivo', 'Sacco e Vanzetti', 'Gli intoccabili' e 'Nuovo Cinema Paradiso', giusto per citare alcuni dei lavori più importanti di una discografia immensa, commuovendosi e facendo commuovere l'intero
'Dolby Theatre' di
Los Angeles alla consegna del premio. Vero trionfatore della serata, con sei premi all'attivo, è stato
'Mad Max - Fury Road', capolavoro
'fanta-post-apocalittico' del settantenne regista australiano
George Miller, che ben più di
Iñárritu avrebbe meritato la statuetta per la miglior regia, capace di aggiudicarsi tutti gli
Oscar 'tecnici': miglior montaggio; miglior sonoro; miglior montaggio sonoro; miglior scenografia; migliori costumi e miglior trucco. Una serata di musica, con l'esibizione di
Sam Smith e della sua
'Writing's on the wall', immeritata vincintrice
dell'Oscar per la miglior canzone per il film
'Spectre', superando la splendida
'Til it happens to you' di
Lady GaGa, tratta dal documentario
'The Hunting Ground', un duro affresco sulle violenze sessuali nei college americani. La stessa
Lady GaGa si è resa protagonista di un'esibizione live al pianoforte semplicemente da brividi, accompagnata sul palco da un gruppo di ragazzi con scritto sul braccio parole e frasi riferite al triste silenzio che troppo spesso accompagna gli episodi di
violenza sessuale tra adolescenti. Tanti i premi e tante le star premiate, altrettante quelle rimaste deluse, tantissime le polemiche. Nella serata in cui il cinema americano (e per traslato l'America tutta) celebra se stessa, affogandosi nello sfarzo di lustrini, abiti da incubo e lunghe camminate sul tappeto rosso a favore dei flash, non sono mancate le solite
diatribe legate alla presunta discriminazione razziale da parte dei membri
dell'Academy, rei di non aver candidato neanche un artista di colore, asiatico o di qualunque altro colore dell'arcobaleno, in nessuna categoria. Un vero oltraggio, un'ingiustizia evidenziata dal regista
Spike Lee, che ha spinto molti attori e
registi afro-americani a
disertare la cerimonia, in segno di protesta. Un clima
'incandescente', specialmente pensando ai problemi di integrazione negli
Stati del sud come la
Carolina (teatro di non pochi episodi di intolleranza razziale), che non è stato minimamente disinnescato dal presentatore della serata, che di
'frecce' al proprio
'arco' ne avrebbe avute molte: il comico di colore
Chris Rock. Un personaggio che ha dimostrato un'inettitudine alla conduzione rara da riscontrare, condita da un tono di voce stridulo, capace di indisporre anche i sordi e una comicità che ancora deve evolversi dagli anni '90, priva di verve e di veri spunti divertenti, incapace di intrattenere e divertire. Un
flop clamoroso, che ha fatto rimpiangere addirittura
Billy Crystal e i suoi scherzi insensati, il che è tutto dire. Non pago della sua pochezza, il buon
Chris Rock decide di cavalcare l'onda delle polemiche razziali nel suo ruolo di anfitrione dell'evento più importante dell'anno, cercando in apertura di placare gli animi con presunta ironia:
"In molti mi hanno chiesto di boicottare questa serata, ma è incredibile: nessun nominato nero e io, nero, invitato qui a parlare. Mi son detto: ma non ci sono già abbastanza disoccupati? Quindi ho deciso di partecipare. Perché protestiamo"? ha proseguito Rock,
"Siamo qui per l'88esima volta e non ci sono state nomination per i neri per altre 79 volte. Ma negli anni '60 e '70 non protestavamo perché c'erano ben altre ragioni per protestare. Comunque, se volete i neri, create delle categorie per i neri". Uno spunto interessante, quello delle
'vere proteste' degli anni '60 e '70, ma che probabilmente, a causa dell'incapacità del presentatore di esprimersi in un inglese comprensibile, non è stata colta appieno: ci sono cose ben più importanti di una cerimonia di premiazione per cui protestare e far valere gli uguali diritti per tutte le etnìe. Una
polemica sterile, insomma, nata dal nulla e accompagnata dai prevedibili messaggi di sostegno, così
'zuccherosi' da causare veri e propri
'picchi glicemici'. Come accaduto nel caso di
Iñarritu, che al momento della premiazione ha esclamato:
"Il colore della pelle è irrilevante come la lunghezza dei nostri capelli". Non poteva mancare la candidata democratica
Hillary Clinton, che in piena campagna elettorale ha scritto su twitter:
"Troppo talento tenuto in disparte". Tralasciando il valore
'universale' delle dichiarazioni citate e ribadendo la condanna per qualunque tipo di discriminazione, sorge spontanea una domanda: e se gli artisti afroamericani non fossero stati candidati perché effettivamente non meritevoli di essere premiati sulla base dei loro lavori?