I linguaggi della nostra
attualità sono, per definizione, puramente
comunicativi. E i luoghi in cui essi vengono prodotti sono quelli dove la scienza viene applicata secondo i canoni del puro
pragmatismo, ovvero non mediati da considerazioni di carattere
identitario, filosofico, teologico, culturale o valoriale. Sono ormai divenuti numerosissimi, in ogni ambiente professionale, quei
'tecnici' che si esprimono attraverso un
'gergo' strettamente
specialistico, non a caso assai ricco di
'inglesismi' e
'forestierismi'. Una
'lingua' per
'iniziati', che possiede una funzione strettamente comunicativa in quanto canone tendente a
espandersi verso l'esterno, poiché chi lo produce intende instaurare un rapporto sempre più diretto e assoluto con coloro i quali sono destinati a
consumarlo. Ora, nel vecchio mondo
'umanistico', il quale contemplava persino la
rivolta nei confronti del capitalismo della prima rivoluzione industriale,
le religioni hanno sempre avuto la possibilità di
intervenire e
reprimere ogni ideale di cambiamento, contraddicendo brutalmente le volontà anche solo
formalmente democratiche e liberali dello Stato. Il meccanismo era semplice: alcuni organi - la magistratura e la polizia - assumevano una funzione
conservatrice o reazionaria e, in quanto tali, ponevano i loro strumenti al servizio delle
culture più radicate all'interno di una singola comunità statale. In pratica, per interi millenni, tra
Stato e religione è sempre esistito un
'doppio legame' in malafede: le autorità ecclesiastiche, di qualsiasi fede o credenza fossero rappresentanti,
accettavano lo Stato, concedendo a esso il proprio consenso e appoggio, senza il quale il potere statuale non avrebbe potuto instaurarsi o sussistere. Questo antico
'patto' con le credenze religiose in quanto strumenti di controllo sociale non è mai stato altro che un
mascheramento della sostanziale
illiberalità e antidemocraticità dello Stato, il quale
'scaricava' la funzione
illiberale e
antidemocratica proprio sulle
religioni, accettandole, anch'esso in
malafede, come superiori istituzioni
'spirituali'. Le religioni, insomma, a un certo punto della loro Storia hanno stretto un
'patto col diavolo'. L'antico potere
monarchico e
feudale era addirittura compatibile, se non proprio equivalente, a quello
spirituale e
religioso. Tanto per fare un esempio, persino il
fascismo in quanto momento politico regressivo risultò un qualcosa di
oggettivamente meno diabolico, poiché
non 'minava' la Chiesa cattolica al proprio interno. Esso era solamente una falsa ideologia. E il
Concordato stipulato negli anni '30 del secolo scorso non fu tanto un sacrilegio allora,
bensì lo è divenuto oggi, poiché la nuova
'tecnocrazia' ormai ha circondato le religioni, limitandole e contenendole. Ciò significa che l'avvento di una
nuova civiltà tecnocratica, avviata a trasformarsi in una vera e propria
democrazia 'cibernetica', non sarà soltanto
l'ennesima 'macchia' nella Storia delle religioni, bensì
un errore storico che tutte le fedi e credenze del pianeta pagheranno con il
declino definitivo. Nella loro cieca ansia di stabilizzazione e fissazione eterna della propria funzione istituzionale e spirituale,
le culture religiose non hanno mai compreso pienamente come la rivoluzione tecnologica in atto rappresenti, essa stessa, un
'nuovo spirito', assai più competitivo rispetto a quello fideistico, poiché fatti salvi gli aspetti clericali
'formali', nella sostanza finisce col sostituirsi a esse, fornendo all'umanità una visione totale ed esclusiva. È vero:
le tre principali fedi monoteiste più diffuse del pianeta, ancora oggi annoverano molti
vecchi fedeli nei vari apparati di potere degli
Stati. Ma essi sono, per l'appunto,
'vecchi', mentre il futuro già oggi appartiene a una
giovane 'tecnocrazia', che non ha più alcun bisogno degli strumenti classici del potere e, a dirla tutta,
non sa neanche cosa farsene di Dio e altre 'ubbie' affini. Ubbie le quali appartengono, ormai, a un mondo del passato, poiché costituiscono un impedimento alla nuova fase di
rivoluzione tecnologica prevista. Il nuovo potere della
tecnologia necessita di consumatori plasmati da uno spirito
totalmente pragmatico ed
edonistico: un universo
tecnocratico, appunto, pienamente
materiale e
terreno, in cui dovrà svolgersi il
nuovo 'ciclo' della produzione e del consumo.
Per le religioni non c'è più spazio: le battaglie che ancora si combattono in loro nome o per mezzo di esse sono destinate semplicemente ad
accelerare la dissoluzione naturale e definitiva di quasi tutte le
credenze 'cumulative' di
provenienza
orientale. Lo
sviluppo tecnologico in atto è infatti dotato di un'intensità assolutamente nuova, maturata a lungo durante gli ultimi decenni, il quale, nella sua laconicità di fenomeno, ci spiega come i nuovi produttori, i nuovi consumatori e le
future oligarchie 'tecnocratiche' siano destinate a diventare
completamente laiche, ovvero di una
laicità che non potrà più essere misurata attraverso
le religioni. La
laicità è un valore nato nell'entropìa della globalizzazione, in cui la fede sta
deperendo come autorità e forma di potere, sopravvivendo solo ed esclusivamente in quanto
'mantello' ideologico tendente a nascondere
dualismi barbarici, contraddizioni tribali e dogmatismi inutili. La nuova
tecnocrazia laica non rappresenterà semplicemente un nuovo mondo, in cui ogni
fede dovrà essere
ridimensionata a ciò che essa rappresenta realmente, bensì sarà portatrice di
interessi positivi, che prevedono anche la possibilità di
ideologizzare, quindi di rendere
pienamente espressivo, il proprio linguaggio: quello, appunto, del mondo tecnologico più avanzato. Lo
'spirito' di tale
'narrazione' non si limiterà a forme di
apodissi, ovvero a formulare osservazioni tendenti a fissare la propria espressività attraverso i canoni della semplice
comunicazione. Esso sarà un qualcosa di più e di diverso: una vera e propria
mutazione valoriale e spirituale della società, che
punirà le religioni proprio per aver stretto, in passato,
un '
patto col diavolo'.