Intorno alla questione che ha visto i fallimenti di
Banca Etruria, Banca Marche e delle due Casse di risparmio di Ferrara e di Chieti, innanzitutto bisogna dire che si tratta di istituti di dimensione
piccola o media. Certamente, ciò non giustifica quanto avvenuto. Tuttavia, bisogna anche sottolineare che la soluzione adottata dal Governo con il noto
decreto 'salvabanche' è andata a garantire la continuità operativa e il risanamento degli istituti di credito in oggetto nell'interesse dei territori in cui essi risultano insediati, tutelando in questa maniera i risparmi delle famiglie e delle imprese: conti correnti e obbligazioni ordinarie. Quanto accaduto ha riguardato un
'pubblico' o, meglio,
un'utenza, che era stata convinta a investire in
titoli 'tossici' spacciati come azioni subordinate di
rischio medio/basso. Ma compito di un Governo è principalmente quello di preservare il 'grosso' delle famiglie e delle imprese coinvolte in un
'crack', nonché i rapporti di lavoro all'interno dei vari istituti. E ciò, bisogna anche dirlo, è stato fatto senza utilizzare
denaro pubblico: le perdite accumulate sono state infatti assorbite da una serie di investimenti ancor più rischiosi, se vogliamo, ovvero in azioni e obbligazioni subordinate esposte al
'normale' rischio d'impresa (cosa di solito poco in 'voga', in Italia...). Il ricorso a tali
'strumenti' è precondizione per la soluzione delle crisi bancarie ed è richiesto da normative europee - la direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie sintetizzata con l'acronimo:
Brrd - già recepite dall'ordinamento giuridico italiano. Si tratta di norme emanate proprio per limitare al massimo gli
aiuti di Stato in casi di questo genere. Il decreto assegna, inoltre, alla
Banca d'Italia una funzione di autorità nella risoluzione delle crisi bancarie, sempre compatibilmente con le norme europee. Ora, mettersi a spiegare come avviene tecnicamente
il salvataggio di 4 istituti di credito rappresenterebbe, per chi non è del settore, una vera e propria
'pugnetta'. Dunque, questa volta evitiamo di addentrarci nei vari 'meandri' della
banca 'buona' e di quella
'cattiva', utilizzata cioè per scaricare su di essa tutto il peso dei vari
'buffi' e veniamo, invece, al
'piccolo nodo' riguardante
il ministro Boschi, che in questi giorni si ritrova, un poco, nell'occhio del ciclone. Non del tutto giustificatamente, a dire il vero. E' fuor di discussione che esista qualche perplessità in merito agli aspetti
'perdonisti' del decreto, i quali consentono ai dirigenti convolti nei vari
'dissesti' di riproporsi per nuovi e ulteriori incarichi di 'livello': più che una
'leggina salvabanche' la cosa può sembrare, in effetti, una norma
"salva-babbo", come direbbero a
Laterina. Tuttavia, che la ragazza, anzi il ministro, fosse al corrente della cosa, o abbia addirittura
'ispirato' il provvedimento, è
tutto da dimostrare. La decisione, forse è vero, ha la
'pecca' di essere
'buonista', ma non solamente con
"il babbo della Maria Elena". Il vero problema è il decreto: due
'tirate d'orecchio' a direttori e dirigenti che si
'ampliavano' tra loro i
'fidi' bancari quando a noi cittadini normali, se soltanto
'sforiamo' di un
'millino' ci
'scassano gli zebedei' fino allo
spasimo, è un po'
pochino, detto francamente. Con noi fanno i
'petulanti', mentre invece, all'interno della loro
'isola felice' chiamata
'mamma banca', tutto si può fare a
'occhi chiusi'. In ogni caso, tornando alla
Maria Elena e al suo
babbo 'inguaiato', che il membro di Governo in questione abbia potuto
metter 'bocca' sul decreto ci sembra alquanto strano: la materia non appartiene alle sue competenze e, da quel che ci risulta, la ragazza è laureata in
Giurisprudenza, non in
Economia e Commercio o in
Scienza delle Finanze. In 'soldoni', come dicono ad
Arezzo, dalla
Maria Elena mi farei volentieri difendere in una
causa civile, ma di certo non le affiderei il
bilancio aziendale. E affermiamo ciò anche al fine di rispondere allo scrittore
Roberto Saviano: non si può sempre
pensarla 'male' su tutto. Anche perché, coinvolgere un ministro nelle
'bischerate' del padre a questo punto risulta un comportamento alquanto
'sleale': fino a qualche mese fa, si continuava a dire che era finita nell'esecutivo per poter aiutare
"il babbo" a entrare nei
'salotti buoni' del
Granducato di Toscana; oggi, viceversa, la si accusa di averlo
'tirato fuori' dagli
'impicci'. Infine,
caro Saviano, scaricare sui figli le colpe dei padri è un mero atteggiamento
'atavico', che non possiede alcun aggancio con lo
Stato di diritto: se un genitore qualsiasi provocasse un
incidente in autostrada, la
Polizia stradale non potrebbe di certo
sospendere la patente di guida a tutta la sua
'prole' e
'discendenza'. Insomma: siamo nel campo delle
interpretazioni 'estensive', molto estensive.
Non basta chiamarsi Boschi, caro Roberto: basta e avanza, invece,
chiamarsi Saviano per ricordare a uno scrittore di essere tenuto a
dimostrare quanto afferma ai media e sui giornali.