Giorgio MorinoStarbucks arriverà in Italia. La catena di caffetterie americane più famosa ed esportata nel mondo, sbarcherà nel 'belpaese' e più precisamente a Milano nel 2016, grazie a una trattativa tra il colosso  americano e il re dei centri commerciali, Antonio Percassi, che come riporta il 'Corriere della Sera' doverebbe concludersi entro il Natale di quest'anno. Per un italiano che viaggia all'estero, Starbucks rappresenta una sorta di 'àncora di salvezza': un porto sicuro in un oceano di caffè indecente. Le varie alternative presenti nel menù, dal celeberrimo 'Frappuccino' al caffè lungo americano, fino ad arrivare al Chai Tea, sono sempre un'occasione per conoscere come si vive nel resto del mondo durante quel sacrosanto momento di pausa che solo un caffè riesce a regalare. Tutto questo vale, però, all'estero, poiché non appena varcati i nostri confini, proprio noi italiani, il popolo che più di ogni altro ha contribuito a perfezionare l'arte della tazzina fumante, siamo talmente pieni di questo ancestrale orgoglio che, alla notizia dell'arrivo di Sturbucks, abbiamo subito fatto risuonare l'urlo del nostro autarchico dissenso: come può quel 'brodo' nero che gli americani chiamano caffè piacere a noi, così raffinati cultori dell'espresso? Come possiamo permette agli americani di invadere il nostro spazio più sacro? Come possiamo tollerare che il web e i social network, di qui a poco tempo, siano tempestati di gente che si farà un 'selfie' con il bicchiere di carta su cui è stato scritto il proprio nome? Questo più o meno è anche il contenuto di un articolo de 'l'Espresso' a firma Mauro Munafò, nel quale vengono elencate le infinite sciagure che Starbucks porterà in Italia. Quello che in generale traspare maggiormente è il forte timore che l'italiano medio, conformista di natura, rinuncerà al proprio espresso consumato in appena due minuti, preferendogli un lungo cappuccino in un bicchiere di cartone, sorseggiato con lentezza su una comoda poltrona. Non possiamo tollerare che l'italiano medio diventi uno 'pseudo-yankee' perché beve il caffè degli americani. Che importa se, in quanto fenomeno di costume a livello globale, queste caffetterie possano produrre posti di lavoro e introiti da parte dei milioni di turisti che affollano il nostro Paese? Di sicuro a Seattle, sede della compagnia americana, saranno così sprovveduti da non aver pensato a usare anche miscele di caffè tipicamente italiane, per andare incontro al nostro palato, così sofisticato. Evviva l'italica autarchìa.


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