La crisi del teatro italiano non è affatto causata, come generalmente si pensa, da una difficile condizione dei conti pubblici o dai numerosi 'tagli' di risorse agli enti locali. In verità, le difficoltà di questo settore nascono da lontano. E derivano, soprattutto, da cattivissime gestioni 'arroccate' all'interno di ristrette cerchie totalmente autoreferenziali. Per lunghi decenni, alcune conventicole di 'apparecchiati' al tavolo delle sovvenzioni statali si sono permesse di fare il bello e il cattivo tempo, devastando un settore di eccellenza della produzione culturale italiana. Il nostro Paese è storicamente caratterizzato da 'piazze' teatrali di assoluta importanza: Napoli, Roma, Genova e Milano sono state a lungo luoghi di produzione di talenti indiscussi e successi indimenticabili. Come testimoniato in modo esemplare dalle recenti vicende del teatro capitolino
'Eliseo', è ormai divenuto inevitabile domandarsi come sia stato possibile che una struttura con un 'cartellone' stagionale supportato da più di 20 mila abbonamenti e da un afflusso di almeno 80 mila spettatori l'anno non sia riuscito a pagare l'affitto per quasi un intero 'lustro' di gestione. Evidentemente, qualcuno l'ha fatta 'sporca' e ha creato il 'pasticcio'. Infatti, come per l'editoria, anche il settore della produzione teatrale già da tempo non è più un 'ambiente' funzionale a presentare lavori e contenuti in grado di attirare l'interesse del pubblico, bensì è divenuto un mezzo per ottenere sovvenzioni e contributi. Son capaci tutti, in questo modo, a fare gli impresari teatrali. E difatti, ogni 'rischio imprenditoriale' viene da sempre 'aggirato' in quanto problematica da evitare a priori. Per non parlare della questione 'generazionale', ormai apertasi con piena evidenza su tutto il fronte di una selezione realmente meritocratica dei talenti artistici più giovani. Risulta pur vero che una cultura televisiva da 'spazzatura' ha finito col diseducare il pubblico alla sana abitudine di recarsi a teatro almeno un paio di volte l'anno. Ma non si può nemmeno 'scaricare' ogni colpa su contenitori come
'Zelig' o
'Colorado' in quanto colpevoli di aver 'cannibalizzato' il mercato. Anche perché, il primo di questi due 'spazi' ha sempre presentato spunti interessanti e idee di buona fattura, mentre è il secondo ad appartenere pienamente alla categoria della mediocrità nazional-popolare. Dunque, anche in questo caso, dev'essere operata un'opportuna distinzione, per non far sempre di tutta l'erba un unico 'fascio'. E' inutile cercare facili 'capri espiatori': la crisi della produzione teatrale è soprattutto 'colpa' dei 'teatranti' stessi, ovvero di coloro che non appena riescono a raggiungere una posizione di 'rendita', tendono a 'cristallizzare' la situazione a proprio vantaggio. E' il solito limite delle 'barriere d'entrata', teorizzate dall'economista
Joe Bain: chi appartiene a un preciso 'circuito' oligopolistico può lavorare, guadagnare e, in molti casi, anche a far 'sparire' investimenti e contribuzioni pubbliche; chi, invece, rimane fuori da questo mercato 'protetto', si deve arrangiare orbitando attorno ai circuiti del teatro
off e indipendente, che spesso, come nel caso del teatro
'Studio Uno' di
Roma, riescono a 'galleggiare' creandosi una propria 'nicchia' di giovani talenti, permettendosi persino il 'lusso' di 'strappare', da ambienti sociali tradizionalmente 'distanti', nuovi spettatori. Insomma, il ricambio che si richiede in questo delicato settore della nostra produzione artistica non è solamente quello generazionale, bensì investe con urgenza la questione di maggiori investimenti nell'innovazione; quella di ritrovare imprenditori e direzioni artistiche più oneste e coraggiose, capaci di 'puntare' su novità interessanti; quella di ricercare giovani talenti da lanciare sul mercato, al fine di sostituire le tante vecchie 'cariatidi' che bloccano ogni genere di vivacità artistico-culturale, spesso fino alla propria morte e senza nemmeno preoccuparsi di creare una 'discedenza' o una sorta di 'discepolanza'. Allo stato, tanti vecchi 'volponi' si contrappongono a giovani inesperti, cresciuti e mantenuti appositamente in un 'limbo' (talvolta per motivazioni ideologiche o di mero clientelismo politico) in cui totale appare la mancanza di ogni elemento economico di sana conduzione aziendale. E' questa la 'spettrale' fotografia del teatro italiano, in quasi tutte le città d'Italia. E tale condizione, certamente non merita alcun applauso, né per il teatro, né per i 'teatranti'.
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista sfogliabile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine' - n. 13 luglio/agosto 2015)