Clelia MoscarielloSe vi fosse un metodo scientifico per valutare l'effettiva genuinità dei nostri alimenti, sarebbe proprio una bella notizia. Ebbene, un'altra frontiera si è aperta grazie alla biologia molecolare proprio sul fronte della nutrizione: non si parlerà più di calorie, bensì di 'molecole' contenute nei cibi che ingeriamo. La qualità molecolare degli alimenti, infatti, è ciò che influenza veramente il profilo metabolico, ormonale ed epigenetico del nostro organismo. Le tabelle indicative delle calorie alimentari non sono più attendibili: non leggetele più! Esse forniscono un'immagine 'esterna', puramente estetica e superficiale, dell'organismo umano, come fossimo delle automobili che consumano benzina, senza mai indicare quanto effettivamente il nostro corpo - e soprattutto come - dovrebbe 'bruciare' le calorie ingerite, soprattutto quelle in eccesso. La gastronomia molecolare, invece, è una vera scienza, che si occupa delle trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione. La materia si è sviluppata alla fine degli anni '80 attraverso l'Inra (Institut national de la Recherche agronomique) presso il Collège de France di Parigi, grazie a Hervé This e a Pierre-Gilles de Gennes (Premio Nobel per la Fisica nel 1991). In Italia, Davide Cassi è il nostro principale riferimento in materia, presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Parma. Già nel 2003, questo nostro fisico, insieme al cuoco Ettore Bocchia, aveva redatto il 'Manifesto della cucina molecolare italiana', allo scopo di conservare la cucina tradizionale italiana. A dire il vero, sin dal 1990 si tiene ogni anno a Erice, in Sicilia, l'Atelier internazionale di Gastronomia molecolare. Dunque, non solo siamo, per cultura, particolarmente attenti a questo nuovo indirizzo della ricerca, ma possiamo anche affermare esplicitamente che, qui da noi, si sta cercando di stabilire la 'qualità effettiva' dei nostri cibi, poiché l'Italia, con la sua 'dieta mediterranea', può realmente raggiungere traguardi di eccellenza anche dal punto di vista scientifico. Questo è uno dei motivi per cui ne parliamo, soprattutto nei mesi di un evento così importante come l'Expo di Milano, in cui tutti possono assaggiare il cibo dei distinti Paesi e continenti del nostro pianeta. Giuseppe Pelicci, biologo molecolare e drettore del dipartimento di Oncologia sperimentale presso l'Istituto europeo di oncologia (Ieo), ha avuto il merito di identificare il 'gene di lunga vita P66'. Egli dirige inoltre, sempre allo Ieo, il programma di ricerca 'SmartFood', ovvero il 'cibo furbo', che si pone lo scopo di comprendere le sostanze contenute negli alimenti e come queste possano influire sul ciclo vitale delle persone. Secondo questo scienziato, un metodo per allungare la nostra vita è quello della 'restrizione calorica', che potrebbe incidere assai positivamente sull'aspetto cardiovascolare, combattendo l'invecchiamento dei tessuti. In pratica: meno mangiamo (non oltre il 30% in più rispetto al regime di sopravvivenza alimentare), meglio stiamo. Tuttavia, alla base di questi studi così complessi vi è l'intuizione di una correlazione tra il nostro Dna e quello dei cibi che ingeriamo. Fortunatamente, il Regolamento comunitario CE n. 178 del 2002 ha imposto a tutte le aziende operanti nel settore delle produzioni alimentari l'obbligo di 'etichettare' tutti i dati legati agli ingredienti e alla loro lavorazione: provenienza; lotto di produzione; processo di trasformazione; eventuali analisi e tutto ciò che concerne, complessivamente, la tracciabilità di cibi e preparati gastronomici. Ma oltre al versante normativo della questione, gli studi più avanzati sul Dna stanno svelando quali sono gli ingredienti effettivamente contenuti in un alimento, poiché questi "derivano da organismi animali, vegetali o funghi", ci conferma lo studioso Emanuele Ferri, "e come tali hanno all'interno delle loro cellule un proprio peculiare Dna. Diversi enti di certificazione stanno adottando queste analisi per aumentare la sicurezza degli alimenti che certificano. Gli obiettivi del progetto di ricerca sono principalmente due: a) aumentare la sicurezza dei prodotti alimentari, valutando la fattibilità concreta di aggiungere nuovi controlli nella filiere di produzione; b) offrire la rintracciabilità dei dati al consumatore, rendendo disponibili in etichetta informazioni e ingradienti legati alla tracciabilità e al controllo, a oggi prerogativa solo degli enti di verifica". Insomma, se i nostri prodotti saranno effettivamente genuini, l'Italia potrebbe persino tornare a vivere di agricoltura. E questa è una scoperta che andrebbe tutta a nostro vantaggio. Anche i cibi avranno, dunque, una loro carta di identità: l'identità agroalimentare. E magari, la certificazione più ambita sarà proprio quella italiana.

E' finita la tirannìa delle diete e dei consigli 'estetizzanti' dell'informazione di settore
La scienza dell'alimentazione sta dunque ricevendo dall'attuale ricerca scientifica nuovi impulsi evolutivi e un nuovo ruolo. Il rapido progresso di ricerca nel campo della biologia molecolare sta infatti trasformando la nutrizione, come altre scienze mediche. Al centro del sistema biologico umano non ci sono più le calorie, ma le 'molecole' nutrienti introdotte con la alimentazione giornaliera. La nutrizione molecolare studia il contenuto delle molecole nutrienti contenute negli alimenti e il loro destino metabolico, ormonale ed epigenetico all'interno del corpo umano, unico e diverso dall'altro. La qualità molecolare dei singoli alimenti, cioè la loro diversa composizione in principi nutritivi e nutrienti, condiziona il profilo metabolico del corpo umano a ogni età e sesso.

La pressione obesiogena sul Dna e l'inattendibilità delle calorie
Il controllo del solo introito energetico giornaliero non è sufficiente a dimagrire. L'epidemia di obesità avvenuta negli ultimi decenni, in particolare nell'infanzia, è imputabile a un cambiamento nelle condizioni ambientali piuttosto che nei sistemi di controllo del bilancio energetico. I sistemi biologici di gestione dell'energia chimica e del calore metabolico sono immutati nel tempo, ma sono cambiati i fattori ambientali e culturali legati al cibo e alla produzione-consumo degli alimenti.  Più si è ridotta la biodiversità agraria e alimentare e più è aumentata l'obesità e il sovrappeso. Il cibo e le sue qualità nutrizionali condizionano il patrimonio genetico, il Dna dei componenti di una famiglia. Ogni famiglia possiede, infatti, una propria storia di salute e di malattie. Il cibo è dunque il principale 'mediatore' tra l'ambiente e il patrimonio genetico trasmesso all'interno della 'linea familiare'. Ovvero, una buona parte delle malattie sono frutto dei comportamenti alimentari e degli stili di vita vissuti all'interno delle famiglie. Oltre a tali scoperte, ci si è accorti che la produzione agro-alimentare intensiva ed estensiva, la tecnologia alimentare, nonché la commercializzazione degli alimenti, i tempi, i ritmi, i comportamenti alimentari soggettivi, la regressione sensoriale per lo più governata dalla chimica (addittivi), accompagnata dall'incremento artificiale dell'appetibilità o dalla riduzione del senso di sazietà dei cibi esercitano una netta pressione 'obesiogena'. Sin dagli anni '70 del secolo scorso, a questo complesso 'quadro obesiogeno' si è tentato di rispondere con il semplice calcolo giornaliero delle calorie, teorizzando cioè una serie infinita di 'diete' alimentari di 'ripartizione' dei principi nutritivi, formulate su base giornaliera: il 50-65% delle calorie proveniente dai carboidrati; il 10-15% dalle proteine e il 25-30% di 'lipidi', che finalmente emersero come 'artefatto' scientifico. Negli ultimi decenni si è arrivati a consumare più carboidrati e meno grassi, avvicinandosi alle ripartizioni caloriche giornaliere raccomandate. Ma in verità ci si è accorti che ben poco è cambiato sull'evoluzione delle malattie e dei disordini metabolici: sovrappeso e obesità. Le raccomandazioni indicate si sono rivelate poco esaurienti. L'equivoco delle calorie si è basato, per interi decenni, sulla convinzione che il potere calorico di una 'biomassa' alimentare o di un cibo sia in grado di fornire lo stesso numero di calorie all'interno dell'organismo umano. Ma ritenere genericamente che il corpo umano possa ricavare da un alimento lo stesso numero di calorie che gli servono come se si trattasse di un dato 'fisso', che appare sul display del calorimetro, è un errore scientifico, anche piuttosto grave. Considerare il sovrappeso e l'obesità come un risultato fisiopatologico derivato unicamente dall'eccesso di 'entrata giornaliera' delle calorie è riduttivo, un metodo non completo nella sua eziopatogenesi. Il corpo umano è un sistema biologico complesso, che non procede affatto in modo lineare. Le calorie rappresentano l'energia termica (il calore) ottenuta dall'ossidazione di un alimento 'in toto' all'interno di un calorimetro o di una bomba calorimetrica. Il singolo alimento è dunque una biomassa capace di liberare energia termica, quando esposto a ossidazione. Ma non è scientificamente corretto ritenere uguale il calore generato da un alimento intero (in toto) all'interno di un calorimetro rispetto all'energia chimica (Atp: Adenosintrifosfato, ndr) che lo stesso alimento può generare e sviluppare all'interno delle cellule umane. Le svariate e molteplici tabelle delle calorie alimentari con cui siamo stati torturati dai media di settore per interi decenni forniscono un'idea 'esogena', 'esterna' all'organismo umano, sull'effettivo contenuto energetico degli alimenti. Le calorie esistono solamente 'fuori' dal corpo umano, quando il cibo è sulla tavola, oppure sugli scaffali commerciali. Insomma, le calorie indicano un 'potere calorico' posseduto da un alimento 'bruciato' all'interno di un calorimetro, dunque al di fuori dell'organismo umano, come se noi tutti fossimo delle macchine e il cibo fosse una sorta di combustibile. Ma le cose non stanno affatto così: le tabelle delle calorie alimentari forniscono un'idea approssimativa sull'effettivo contenuto energetico degli alimenti. Pertanto, non sono utilizzabili per un uso concreto, soggettivo e individuale, in quanto inaffidabili. Una porzione di pasta, di formaggio o di un altro alimento possono contenere lo stesso numero di calorie, ma molecole diverse. La pasta contiene in prevalenza carboidrati; il formaggio, invece, proteine e lipidi in prevalenza e nessun carboidrato. Dunque, il profilo metabolico e ormonale è diverso dopo aver ingerito un piatto di pasta rispetto a una porzione di formaggio, perché è diversa la qualità molecolare degli alimenti.  Il corpo umano non utilizza il calore per ricavarne 'lavoro fisiologico'. Non c'è alcuna corrispondenza tra il potere calorico degli alimenti e l'effettiva utilizzazione di energia chimica all'interno dell'organismo umano. L'utilizzo dell'energia chimica per ottenere 'lavoro metabolico' è una realtà fisiologica ben distinta dal 'calore metabolico', cioé dalla nostra temperatura corporea, che invece è generata solo nei 'mitocondri' degli 'adipociti bruni' del tessuto adiposo, attraverso la 'beta-ossidazione' completa degli acidi grassi saturi. Proteine, carboidrati, fibre alimentari, vitamine, minerali e molecole ad azione epigenetica non partecipano affatto alla produzione di calore metabolico. La ripartizione delle calorie, effettuata con riferimento alla giornata alimentare, non è più un concetto scientificamente accettabile, perchè ogni singolo atto alimentare modifica l'assetto metabolico, biochimico, epigenetico rispetto al prima. E' la conoscenza più approfondita dei modulatori metabolici post prandiali, come la glicemia, l'insulinemia e la lipemia, ad avere un ruolo primario nel condizionare il nostro peso corporeo, l'accumulo di massa adiposa e il nostro stesso stato di salute.


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