Alla fine è successo. Il mondo se ne è reso conto e non si può più nascondere: l'ignobile degrado che sta affliggendo Roma da qualche anno si è guadagnato il discutibile onore di aprire l'edizione internazionale del quotidiano più letto del mondo. Nell'edizione del 23 luglio scorso, il
'New York Times' ha dedicato al degrado della capitale d'Italia nientemeno che l'apertura in prima pagina, senza neanche la necessità di usare un titolo 'squillante' per attirare l'attenzione: è bastato infatti inserire una foto di immondizia accumulata in una via di Trastevere e aggiungervi una piccola didascalia che rimanda all'articolo vero e proprio, a pagina 3. Certe immagini sono più eloquenti di mille parole. E l'articolo, il cui titolo tradotto è
'Un sindaco virtuoso vs. i vizi di Roma', firmato da
Gaia Pianigiani, è una lunga e abbastanza puntuale ricostruzione dello scandalo di 'Mafia capitale' e del totale e incomprensibile stato di abbandono imperversante nella 'città eterna' a uso e consumo del lettore straniero. Il tutto condito con l'aggiunta di qualche testimonianza diretta di sconforto popolare e di una descrizione del
sindaco Marino, in tutto e per tutto simile a quella che
Cervantes dedicò al suo
'Don Chisciotte': un uomo estremamente virtuoso, ma totalmente estraneo al contesto che lo circonda. Un "marziano a Roma, affascinante ma stancante", secondo le parole di
Marco Damilano riportate nell'articolo. Nonostante il testo si dilunghi eccessivamente sulle vicende che hanno portato l'attuale sindaco in Campidoglio e i proclami altisonanti che erano stati fatti in campagna elettorale, l'ex chirurgo 'genoano' esce dalla ricostruzione fatta dalla
Pianigiani come un eroe solitario e virtuoso, incapace tuttavia di essere incisivo nelle azioni, nonché costantemente bersagliato dalle critiche per ogni sua iniziativa. Sarebbe troppo facile attribuire questo generale clima di sfiducia nei confronti del primo cittadino di Roma solo allo scandalo di
Mafia capitale, cui si aggiunge la convinzione che, come sempre, chi è colpevole non pagherà, specialmente se chi si trova agli arresti domiciliari per aver pilotato gare d'appalto in accordo con
Salvatore Buzzi organizza un 'party' nella propria abitazione di reclusione, brindando all'estate e alla faccia di tutti i cittadini romani. Ma ciò che nella ricostruzione del
'New York Times' manca è la domanda fondamentale, che tanti romani si pongono ormai quotidianamente: se Marino non è in grado di garantire l'ordine nella gestione dei trasporti pubblici, della pulizia e della sicurezza cittadina, insomma se non è nelle condizioni di poter gestire la città indipendentemente che sia 'colpa' sua o meno, per quale motivo non si dimette attraverso una pubblica dichiarazione di accusa nei confronti di una collettività romana che, nel corso dei decenni, non ha saputo far altro che sommare incapacità, clientelismi, indolenze e vessazioni nei confronti dei suoi cittadini? È vero che in Italia le dimissioni già da qualche tempo non esistono più (a differenza del mondo anglosassone, cui è rivolta l'analisi del quotidiano americano), ma la logica successione degli eventi dovrebbe essere questa: si ottiene una carica sulla base di un programma; la 'piattaforma' è impossibile da attuare per questioni di 'incompatibilità ambientale'; dimissioni. Perché, dunque, perseverare in un inutile "accanimento terapeutico"? Se una terapia è impossibile da applicare in una città restìa alle rivoluzioni, essa non può essere imposta a tutti i costi su un paziente che non intende essere aiutato, né curato. Perché questo è Roma: un paziente in gravi condizioni divenuto addirittura terminale. A poco serve l'aver chiesto le dimissioni dell'assessore ai Trasporti per il vergognoso stato delle linee metropolitane, azzerando il
Cda di Atac: questi sono provvedimenti che giungono con grave ritardo e che non dovrebbero essere riservati solo a chi ne detiene le 'deleghe', bensì dovevano esser presi da tutto il Consiglio comunale, soprattutto dopo lo scandalo di Mafia capitale. L'articolo del
'New York Times' non solo mette sotto i riflettori una situazione assurda, ma pone a rischio quella che forse è l'unica fonte di entrate garantita alla capitale: il turismo. Il sindaco, come ricorda nel suo articolo
Gaia Pianigiani, è stato sempre attento a presentare ai media il proprio operato come innovativo, in netta discontinuità con le precedenti gestioni, al fine di incrementare l'afflusso di turisti (basti pensare alla pubblicità fatta in occasione della chiusura di via dei Fori imperiali, finalizzata a creare l'area archeologica pedonale più grande del mondo). Possiamo invece ipotizzare che la pubblicità generata da questo servizio giornalistico provocherà un'inevitabile flessione nell'afflusso di turisti, che ogni anno invadono la città inondandola di soldi, ma ormai stanchi di dover subire disservizi inaccettabili in qualunque capitale europea e per ogni città civile? Giunti a questo punto, non sarebbe meglio stimolare un vero cambiamento e non solo il solito 'giro di poltrone' in Campidoglio? Conoscendo il 'microcosmo' politico romano, non c'è molto da sperare.