Individuo dal fascino innegabile,
Matteo Renzi ha goduto per un anno di una reverenza a dir poco 'sacrale'. Dopo il
40.8% di consensi ottenuti alle
europee del 2014, egli è stato ammirato acriticamente dentro e fuori il proprio Partito. L'approccio antimaterialista e l'indole propagandista che lo contraddistinguono sono tratti caratteristici della sua persona. Così come la sua fede cattolica, alla quale è stato educato sin dai tempi degli 'scout'. La professione di fede rimane il dato contenutistico fondamentale di ciò che i nostri politici, in particolar modo quelli di maggior successo, hanno sempre teorizzato e sostenuto tramite proclami o azioni di governo. Oggi, tuttavia, si comincia a comprendere come il
'fenomeno-Renzi' rappresenti, soprattutto, la conseguenza di un disagio che covava all'interno del
Partito democratico sin dalle sue origini e non il bisogno di rispondere all'esigenza di ricapitolare, in qualche modo, una nuova ortodossìa socialdemocratica o 'catto-riformista'. In fondo, era tutto abbastanza semplice da comprendere: quell'ala 'veltroniana' che già nel
2008 aveva rivelato il suo particolarissimo 'culto' per il fallimento e la teorizzazione astratta, consentendo alle destre uno dei successi elettorali più clamorosi e 'sonanti' dell'intera nostra Storia repubblicana, è tornata alla 'carica' con nuove bizantine teorie sul
"voto utile" e l'idea di
"un Pd a vocazione maggioritaria" - il 'Partito della Nazione' - nel tentativo, surreale, di ricreare una nuova
Dc 'travestita' da
Pci in quanto luogo di equilibrio compensativo dell'intero universo politico nazionale. Negli anni della sua segreteria,
Pier Luigi Bersani aveva compreso, con buona lucidità, soprattutto una cosa: il centrosinistra, dopo
il 'testa-coda' di Veltroni del 2008, avrebbe avuto maggiori possibilità di rivincita 'allargando' la coalizione, utilizzando cioè il
Partito democratico in quanto 'colonna portante' di un progetto e di una piattaforma programmatica ben precisa. Si trattava di un ragionamento corretto: in uno scenario politico 'bipolare' come quello italiano si cammina 'in avanti' e non 'verso l'alto'. Sin dai tempi del
referendum del 1993, qui da noi si sta cercando di stabilizzare, con scarsi risultati, un modello politico 'bipolare', nel tentativo di ottenere, finalmente, dei
"Governi che governino", anziché rincorrere astrattezze più o meno etiche alla ricerca di una nuova egemonia culturale. Oltretutto, in un Paese pateticamente 'allergico' alla cultura, anche nei suoi livelli più alti e borghesi, che rifugge ogni aspetto 'contenutistico' come fosse un qualcosa di cui doversi vergognare. Persino il simpatico collega
Andrea Scanzi si è sentito 'rinfacciare', di recente, un passato giovanile da direttore artistico di una compagnia teatrale, come se ciò rappresentasse, di per sé, un 'male'. In ogni caso, tornando a
Matteo Renzi, egli non è mai stato semplicemente il vessillo dei valori cattolico-democratici, ma l'espressione di un disagio generazionale verso una politica immobilista e un sistema bipolare già 'abortito' in partenza. Tuttavia, la sinistra italiana è storicamente l'ambiente politico più 'frantumato' che esista. E lo stesso
Pd non è mai riuscito a essere altro se non lo 'specchio' stesso di tale frantumazione. Quel che il mondo progressista andava cercando, in realtà, era una vera e propria 'svolta', nel tentativo di emergere da una condizione di profonda divisione interna. Eppure, in più fasi e in diversi momenti, non si è fatto altro che aggravare questa 'cronica' patologia. L'attuale dirigenza nazionale del
Partito democratico, dopo quanto accaduto
in Liguria, non può permettersi di dichiarare a 'cuor leggero' di sentirsi ingannata da una nuova frantumazione, che ha contribuito essa stessa a generare. Può darsi si sia trattato del primo vero successo dell'attuale area 'minoritaria' - o "residuale", come dice qualcuno - di un ennesimo 'embrione' di
'sinistra qualitativa'. Ma ciò indica, soprattutto, che
Matteo Renzi debba cominciare a guardarsi da quanto accade all'interno della forza politica da lui guidata in qualità di
Segretario nazionale, se intende puntare a un successo pieno alle
elezioni politiche del 2018, evitando di ripetere quegli errori che rischiano di trascinarlo in una condizione di isolamento, anziché verso una leadership carismatica da
"uomo solo al comando", all'interno di un contesto che è ancora bipolare e non bipartitico. Quanto è successo in Ligura, tutto sommato può persino trasformarsi in una 'buona cosa', se si avrà l'umiltà e l'intelligenza di comprenderne le indicazioni. Per esempio, che in politica è sempre un errore grave, se non addirittura 'madornale', confondere i 'mezzi' con i 'fini'.