Clelia MoscarielloUn miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno. E in giornate come queste, in cui ha preso ufficialmente il via l'Esposizione universale di Milano 2015, tale pensiero è quello che, più di tutti, ci preoccupa profondamente. Soprattutto, se rivolgiamo lo sguardo a un mondo dominato dalle grandi multinazionali, che utilizzano le risorse del nostro pianeta senza riuscire a fornire una risposta al problema del cosiddetto 'terzo mondo' e dei Paesi in via di sviluppo. Le multinazionali, infatti, sono definite in tal modo non tanto per questioni relative alla proprietà aziendale, come erronemamente si crede, bensì dal fatto che operano almeno in un due o più Paesi, attraverso proprie filiali o compagnie che appartengono a un unico 'gruppo'. Dunque, la loro funzione dovrebbe esser quella di generare o di 'risvegliare' i mercati interni dei rispettivi Paesi in cui operano, attraverso investimenti produttivi e attività di commercio e di sviluppo. Invece, la logica che muove, oggi, le grandi 'corporations' internazionali è soprattutto quella dell'utilizzo di mano d'opera locale a basso costo e dello sfruttamento delle risorse energetiche, agro-alimentari o del sottosuolo a prezzi stracciati. Tutto ciò non solo rallenta ogni possibile espansione dei mercati locali e un più rapido processo di sviluppo dei Paesi poveri, ma finisce col generare un profondissimo divario tra una parte minoritaria del mondo, che risulta moderna e civilizzata, rispetto al resto del pianeta. Ecco perché diviene importante che un evento come l'Esposizione universale rappresenti un modo per 'direzionare' il capitalismo globale verso la solidarietà, generando quell'equazione culturale in grado di affiancare le consuete logiche di profitto con quelle di una maggior cura e attenzione nei confronti della parte più sfortunata della Terra. Si chiede cioè al sistema economico mondiale di prendere in esame, dopo la sconfitta storica e, soprattutto, economica del pensiero 'marxista', l'idea di uno sviluppo globale maggiormente indirizzato verso finalità più eque, sostenibili e solidali di inclusione sociologica. L'illusione delle utopie 'storiciste', congiunta al crollo delle filosofie spiritualiste e religiose, che spesso hanno proposto esempi troppo lontani o superati della realtà umana, crea l'esigenza di progettare nuovi modelli di sviluppo più vicini e, in un certo senso, compatibili con le diverse condizioni socioeconomiche del pianeta. La qual cosa corrisponde, secondo noi, a un ritorno verso nuove forme di economia 'reale', abbandonando quelle filosofie monetariste che comportano 'bolle' di rischio e di moltiplicazione del debito le quali, alla fine, tradiscono clamorosamente proprio quegli obiettivi di profitto e di solidità aziendale che, teoricamente, pretendono di perseguire. Ma prima ancora di far questo, l'occasione di Expo Milano 2015 dovrebbe innanzitutto esser quella di prendere atto della seguente 'fotografia' del pianeta Terra, che qui di seguito abbiamo sinteticamente schematizzato: a) più di 800 milioni di esseri umani nel mondo non hanno abbastanza da mangiare; b) la stragrande maggioranza delle persone che soffrono la fame (circa 700 milioni) vive in Paesi in via di sviluppo, in cui il 14% circa della popolazione è denutrita; c) l'Asia è il continente che possiede la più alta percentuale di persone che soffrono la fame (circa 525 milioni): d) se le donne avessero lo stesso accesso degli uomini alle risorse, vi sarebbero 200 milioni di affamati in meno sulla Terra; e) la scarsa alimentazione provoca la metà dei decessi dei bambini sotto i cinque anni; f) nei Paesi in via di sviluppo, un bambino su sei è sottopeso; g) un bambino su quattro soffre di deficit di sviluppo, ma nei Paesi più poveri, tale percentuale sale a un bambino su tre; h) nei Paesi in via di sviluppo, 60 milioni di bambini in età scolare frequentano le lezioni a stomaco vuoto; i) ogni anno, sono necessari 3,2 miliardi di dollari per raggiungere i 60 milioni di bambini in età scolare vittime della fame. Queste sono le condizioni complessive del nostro pianeta da cui partire, se si vuole veramente studiare un modo per nutrirlo. Tenendo presente che il principio di redistribuzione delle risorse presenti e prodotte nel mondo, senza gli egoismi e le feroci avidità dell'occidente, basterebbe tranquillamente a sfamare ogni essere vivente sulla Terra. Un pianeta in cui ogni giorno che nasce non basta affatto al suo affanno.


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