Nei casi in cui la tifoseria di una compagine sportiva, di calcio o di qualsiasi altro sport, causi dei danneggiamenti gravi non può ritenersi corretto chiedere il risarcimento dei danni allo Stato. Ciò sia che si tratti del nostro Stato, oppure di quello olandese o di qualunque altra parte del mondo. Nei casi come quelli verificatisi nei giorni scorsi a Roma interviene, infatti, il diritto privato, quello regolato dai codici civili e penali dei rispettivi Paesi, poiché le responsabilità per i reati di danneggiamento e teppismo sono di tipo individuale. Ovvero, ricadono sul gruppo di facinorosi che li ha commessi. La magistratura è dunque cortesemente invitata ad aprire un apposito fascicolo contro ignoti, chiamando in causa, eventualmente, le squadre sportive coinvolte. E' stato inutile pretendere, da parte del sindaco di Roma, Ignazio Marino, un risarcimento dal Governo olandese per quanto accaduto prima dell'incontro di Europa Legue tra l'associazione sportiva Roma e la società calcistica del Feyenoord di Rotterdam. Noi consideriamo il sindaco Marino un buon amministratore, al contrario di quanto pensano tante 'zucche vuote' che, purtroppo, cercano sempre di tirarlo in 'ballo' intorno a responsabilità che non sono affatto sue, bensì della cittadinanza stessa, ormai involgarita e 'incafonita' da una lunghissima crisi economica, che ha sottoposto la 'città eterna' a un lungo ciclo di profonda depressione. Tuttavia, il comportamento di Marino, questa volta, ci è sembrato velleitario: poco utile, oltre che sbagliato. Probabilmente, si è trattato di un tentativo di reazione dettato da un sincero stato d'animo di indignazione nei confronti di quanto accaduto alla magnifica 'Barcaccia' del Bernini. Ma il sindaco Marino - questa volta dobbiamo dirlo - si è dimostrato 'distratto' rispetto a un evento sportivo previsto da tempo: dovendo la squadra calcistica della Roma affrontare una formazione con al seguito una tifoseria notoriamente 'bellicosa', egli avrebbe potuto emanare un'ordinanza in cui, quanto meno, fosse vietata, temporaneamente e per motivi cautelativi, la vendita di tutte le bevande alcoliche. Giunti a questo punto, Ignazio Marino, che ci permettiamo di consigliare con affetto e solidarietà, dovrebbe predisporre una 'denuncia-querela' nei confronti della società calcistica Feyenoord, permettendo così al comune di Roma e alla città stessa di costituirsi parte civile. Una denuncia da presentare sia innanzi alla magistratura ordinaria, sia a quella sportiva internazionale, chiedendo un pesante risarcimento, nonché l'estromissione immediata, tramite squalifica, della squadra olandese da tutte le competizioni internazionali per un lungo periodo di tempo. Questo è quanto c'è da dire su ciò che è accaduto a Roma: nulla di più e nulla di meno. Chiediamo, inoltre, al sindaco Marino, in piena amicizia e con il massimo della cortesia possibile, di non innescare polemiche dannose con la Questura e la Prefettura di Roma, anche se quest'ultima potrebbe interessarsi maggiormente dell'ordine pubblico della capitale e assai meno a impedire l'ìstituzione di un pubblico registro per la regolarizzazione delle Unioni civili. Quel che invece va detto a chiare note all'opinione pubblica, nazionale e internazionale, è che questa storia della violenza e degli scontri tra tifoserie o contro le Forze dell'ordine, motivati da un partita di calcio, innanzi ai serissimi problemi che sono all'ordine del giorno abbia ormai superato il limite della decenza. Temiamo, cioè, che si debba cominciare a fermare il giuoco del calcio, al fine di toglierlo di mano a coloro che lo hanno trasformato in una forma di campanilismo esasperato e antisportivo. Bisogna cominciare a odiare il calcio: questo, ormai, stiamo iniziando a scriverlo e a dichiararlo in molti, espressamente e senza infingimenti. Purtroppo, si tratta di uno sport che ha perduto quasi tutti i suoi valori di insegnamento pedagogico e morale nei confronti dei giovani, poiché ormai declassato ad attività sportiva mal gestita da tutti gli organi ufficialmente investiti dal compito di governarlo, nazionali e internazionali: Figc, Uefa e Fifa. Questo sport ha ormai imboccato una deriva non soltanto sbagliata e ingiusta nei confronti della collettività, ma è divenuto un cattivissimo esempio di mercato distorto e 'dopato', spesso basato su debiti che hanno raggiunto livelli di spesa e costi di gestione assolutamente ingiustificati: un ambiente ormai entrato in forte discrasìa con la difficile congiuntura economica dell'intero mondo globalizzato. Il calcio, se continua così, rischia di morire veramente come pratica agonistica, educativa e sportiva. E ciò sarebbe un peccato, poiché esso ha sempre svolto importantissime funzioni, sotto il profilo della cultura popolare. Il calcio induce riflessioni sanissime intorno all'indole più intrinseca delle popolazioni e dei loro costumi; mantiene 'accesa' la memoria dei cittadini sottoforma di esercizio statistico; è un fenomeno che, se interpretato nelle sue forme più corrette, si richiama a valori fondamentali di competizione sportiva basata sulla lealtà e sull'amicizia fraterna tra distinte popolazioni, città, singoli individui. Se non si è più in grado di rilanciare l'immagine del calcio, se esso diviene un semplice pretesto per danneggiare patrimoni artistici inestimabili o per dare sfogo ai propri istinti tribali, allora è meglio fermarlo. Ciò a causa dell'irresponsabilità e della mancanza di coscienza civile di coloro che sono chiamati a interpretarlo, gestirlo, commentarlo e giudicarlo. Se non si vuole che prenda il via una vera e propria campagna per l'abolizione di uno sport assai popolare in tutto il mondo, si cominci sul serio, per favore, a evitare comportamenti irresponsabili, che vanno contro la Storia, l'arte, la cultura e il patrimonio dell'intera umanità. Avvertiamo di essere in grado di sostenere, con forza e insistenza, una campagna del genere, anche se potrebbe trattarsi di un'iniziativa dai complessi risvolti giuridici e sociali, da presentare, discutere e proporre presso sedi ufficiali e aule di Tribunali. Si deve cominciare a fermare questo 'treno' che è stato lasciato correre all'impazzata, che è diventato il regno dell'inciviltà e dell'irresponsabilità, collettiva e individuale. Cominciare a chiedere la chiusura di uno stadio calcistico, anche semplicemente per una singola domenica, potrebbe diventare una delle modalità finalizzate a far comprendere come, in tutte le cose, debbano sussistere dei limiti comportamentali, civili e penali. Oltre a perseguire seriamente tutta una serie di categorie di persone indegne, che hanno trasformato uno sport sanissimo in un 'circo' ormai inguardabile e disgustoso. Proprio l'antico circo equestre, inteso nella sua parabola storicamente più nobile, può esser preso come esempio classico teso a rammentare il declino di una forma di spettacolo per lungo tempo assai in voga in tutto il mondo, in particolar modo tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. E che oggi, invece, si vede ridotto a una forma intristita e nostalgica di rappresentazione popolare. Il calcio rischia di 'imboccare' un destino di questo genere, di passare di moda. Anche se, nei processi sociologici di questo tipo, i molteplici passaggi temporali possono sembrare, a prima vista, piuttosto 'dilatati' o apparentemente inerziali. Il calcio ha letteralmente rotto le 'scatole', per tutte le 'pagliacciate' cresciutegli attorno. E sta rischiando un triste destino di autodistruzione, sia come sport, sia come sistema di 'segni', cioè nei suoi valori più intrinseci di intelligenza tattica, abilità agonistica, stimolazione della fratellanza tra popoli e località geografiche anche assai distanti tra loro. Noi oggi sentiamo il dovere di avvertire la collettività: potremmo cominciare una vera e propria campagna di critica severa, profonda e durissima, contro il mondo del calcio; potremmo cominciare a chiedere alla collettività che il 'giocattolo' sia tolto di mano a chi lo sta letteralmente portando alla deriva; potremmo cominciare a pretendere, insistentemente, che questo 'carrozzone', ormai avvelenato e involgarito, venga fermato. Si sta raggiungendo un punto e un livello di autentica saturazione: non ce la facciamo più a scrivere sempre le stesse, stramaledette, cose. Avete rotto i 'coglioni', perdio!