L'elezione di Sergio Mattarella a nuovo presidente della Repubblica italiana è una 'discreta' notizia. La prima dopo lunghi anni di involuzioni, 'capitomboli' e profonde delusioni. Innanzitutto, il Partito democratico, per una volta, ha dimostrato una certa compattezza: le contrapposizioni interne sui provvedimenti economici, la legge elettorale e le riforme istituzionali sono state temporaneamente accantonate, al fine di evitare, sullo scivoloso terreno dell'elezione del nuovo capo dello Stato, fratture assai dannose e scissioni irrecuperabili. In secondo luogo, Matteo Renzi ha dimostrato un'interessante capacità tattica, ricompattando il proprio Partito attorno a un 'moroteo' degno e rispettabile, tenendo in buona considerazione le 'raccomandazioni' che proprio la presente testata, per prima, ha saputo indicare sotto il profilo metodologico: esattamente l'aspetto che molti esponenti di Forza Italia e del Nuovo centrodestra non sono riusciti minimamente a comprendere, a parte alcune eccezioni. Infatti, nel raffigurare il profilo ideale del nuovo presidente della Repubblica, qualche settimana fa abbiamo rammentato l'antica e un tempo consuetudinaria 'alternanza' tra i presidenti di provenienza cattolica e quelli di appartenenza laico-progressista. Questa volta, l'incarico toccava ai primi. E tale 'buona prassi', alla fin fine, è stata rinnovata e rispettata. Inoltre, ci eravamo raccomandati di non cercare un candidato da eleggere a maggioranza qualificata, bensì di attendere il quarto scrutinio e la possibilità di raggiungere un'intesa basata su un quorum superabile con facilità. Anche tale consiglio è stato seguito alla lettera. E ci sentiamo felici per aver contribuito a evitare ogni possibile fase di stallo, che avrebbe ridato 'fiato' e argomenti a quell'antipolitica, irrazionale e populista, sempre pronta a 'sparare addosso' alle nostre istituzioni democratiche e rappresentative. In terzo luogo, anche il 'devastato' mondo della sinistra italiana sembra aver finalmente compreso una verità sacrosanta: per mettere a posto un 'malandrino' è necessario ricorrere a un altro 'malandrino', possibilmente più giovane, dinamico e moderno. Dopo un risultato del genere, la visione politica di Matteo Renzi appare assai più chiara e intelligibile: quando agli italiani si racconta la verità, ci si 'autocondanna' alla sconfitta politica, poiché essi sono soliti affidare il proprio consenso - e i destini stessi del Paese - al primo 'avventuriero' in grado di farli sognare con promesse mirabolanti e proposte politiche tanto opportunistiche, quanto irrealizzabili. Ma dopo venti anni di 'berlusconismo', una buona parte degli italiani stessi si è finalmente accorta di essere ancora in attesa dei tanti 'miracoli' promessi dal centrodestra: dal delirante "milione di posti di lavoro" del 1994, alla suggestiva "rivoluzione liberale" del 2001; dall'abolizione del 'bollo-auto' del 2008, alle dentiere gratuite promesse ai pensionati nel 2013. Tali volgari menzogne, messe in circolazione a 'ruota libera' per due interi decenni, oggi finiscono col giustificare tutti i 'minimalismi' e le 'capriole' tattiche di questo giovane cristiano-sociale della provincia di Firenze. Non ci nascondiamo, ovviamente, come Matteo Renzi e lo stesso Sergio Mattarella provengano da una tradizione, quella della sinistra democristiana, che ha sempre confuso la Storia con la geografia; che ha regolarmente scavalcato a sinistra i socialisti, esautorandone il ruolo al fine di essiccarne ogni radice teorica e programmatica; che ha perennemente mantenuto in vita l'utopico disegno burocratico e assistenzialista delle sinistre italo-marxiste, rallentandone, per finalità puramente utilitaristiche, il naturale approdo verso la 'sponda' del riformismo 'turatiano'. Tuttavia, da buon plotone di 'guastatori' dell'antica 'balena bianca', la cultura popolare 'maritainiana' sembra aver finalmente compreso di poter interpretare alcuni precisi compiti di 'avanguardia' che gli sono propri, anche nei confronti di quel populismo familista, amorale e qualunquista che ha sempre rappresentato il vero 'contraltare' egoistico e autoreferenziale della demagogia tribunizia dei comunisti. In tempi 'smemorati' come questi, soprattutto sotto il profilo delle identità politico-culturali, è già qualcosa. In ogni caso, l'elezione di Sergio Mattarella non cambierà la Storia: su questo punto, siamo totalmente in disaccordo con i più. Tuttavia, essa ha il merito di ridisegnare, almeno parzialmente, la geografia politica dell'eterna transizione italiana, configurando - si spera - la possibilità di una nuova sintesi strategica e politica tra le diverse culture riformiste italiane, le cui divisioni, in passato, hanno finito col contenere e comprimere le migliori potenzialità di questo nostro splendido, ma sventurato, Paese.