Vittorio LussanaAveva pienamente ragione Pier Paolo Pasolini quando, in un'intervista rilasciata a Enzo Biagi nel 1971, dichiarò che "la cultura piccolo borghese italiana è corrutrice: preferisco mille volte di più", spiegò lo scrittore, "intrattenere rapporti con chi, possibilmente, non abbia fatto neanche la quarta elementare. Non lo dico per retorica, ma questo tipo di persone, assolutamente semplici e umili, mantengono una propria grazia che attraverso la cultura piccolo borghese, in genere, va perduta". In pochi, anzi in pochissimi, rammentano inoltre un altro giudizio politico ben preciso di Pasolini, allorquando definì la storia del socialismo italiano "la più bella di tutte", riconoscendola come la radice più originale della sinistra italiana. Tali citazioni dimostrano ampiamente, per chi è in grado di intenderle nel loro reale significato, dove ci hanno condotto le inchieste giudiziarie, spesso infondate e sommarie, che nei primi anni '90 del secolo scorso hanno letteralmente falcidiato la classe politica italiana. La rivoluzione di 'Mani Pulite', contro la quale Bettino Craxi fu il solo a battersi con coraggio e sincerità, avrebbe dovuto quanto meno stimolare un moto di rinnovamento morale della politica italiana. Appare ormai evidente come ciò non sia affatto avvenuto. E come sia esattamente questo il fallimento più clamoroso di un'ondata 'moralista' più che moralizzatrice. Gli esponenti politici della prima Repubblica possedevano un senso della dignità e dell'opportunità, umana e politica, che li convinceva a dimettersi da ogni incarico al primo avviso d'indagine. Fu così persino per Giulio Andreotti, il quale, dopo esser stato raggiunto dall'accusa di associazione per delinquere, confidò ad amici e familiari che, da quel momento in poi, avrebbe applicato la filosofia di San Bernardo: "Vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa alla volta". Dopo Tangentopoli, la corruzione in Italia non è stata affatto debellata o ridotta. Anzi, essa è dilagata definitivamente, rompendo ogni argine. Il merito principale di una rivoluzione dovrebbe esser quello di sostituire un modello con un altro, un sistema vecchio e incancrenito con uno nuovo, stimolando un rinnovamento autentico in tutti gli ambienti e settori. Ovviamente, una cosa del genere qui da noi era impossibile da realizzare. E si è finito col preparare il terreno per il trionfo definitivo della cultura televisiva e piccolo borghese. Un mondo che si affrettò subito a 'sdoganare' e legittimare - per ragioni puramente utilitaristiche - gli ambienti post fascisti più rozzi, inconcludenti e reazionari, ghettizzati come dei 'parenti scomodi' per più di 50 anni. Sul fronte opposto, sarebbe risultata preziosa una sinistra italiana definitivamente approdata sulla sponda della socialdemocrazia riformista, 'laicizzata' dal proprio stesso misticismo messianico, ad un tempo ateo e moralista. Ma anche il mondo post comunista dell'epoca non era affatto pronto ad aprire una nuova fase di alternanza democratica, che avrebbe dovuto condurre il Paese oltre le 'secche' di quella democrazia 'bloccata' che non solo rendeva impossibile ogni alternativa di sistema, ma persino quelle periodiche. Il 'vuoto' si aprì inesorabilmente. E si presentò il volto, apparentemente moderno, del provincialismo piccolo borghese, portatore della sola e unica visione di aziendalismo conosciuta qui da noi: quello dirigista, 'atomistico' e 'privatista', perennemente proiettato al più totale appiattimento verso il basso di ogni competenza e professionalità, totalmente impreparato in termini di riformismo sociale e di riorganizzazione del mondo del lavoro. Nella seconda Repubblica non si è fatto altro che perdere un mucchio di tempo, poiché la 'cultura' imprenditoriale italiana non ha saputo far altro che presentare la consueta versione 'monolitica' di se stessa: quella di un capitalismo arretrato e contraddittorio, incapace di distinguere figure da figure e ruoli da ruoli, che preferisce da sempre l'ossequio zelante alla sincerità 'disturbante', che non ammette differenze o distinzioni in quanto strumenti di analisi, che annienta ogni competenza al fine di instaurare un esecutivismo puramente tecnocratico e servile. Dopo la 'tempesta' giudiziaria degli anni 1992-'94, nessuno era realmente pronto a prendere in mano, con coraggio e competenza, i destini del Paese. E le conseguenze di ciò sono innanzi agli occhi di tutti: l'Italia è ormai in ginocchio, vittima dell'incapacità della sua classe dirigente a correggere la propria sterilità materiale e morale, imbevuta di un'ipocrisia 'schifosa', che inquina ogni cosa. Un Paese in cui, fascismo a parte, non nasce mai niente, dove tutto viene fatto per emulazione o imitazione. A 15 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, ci ritroviamo non soltanto con un Governo che non è stato scelto da nessuno, ma addirittura con un intero parlamento delegittimato, poiché nel 2005, ovvero negli anni del dominio più assoluto dell'incultura piccolo borghese, la nostra classe politica è stata capace di affidare la riforma della legge elettorale a un leghista insulso e 'bislacco'. Un personaggio capace di presentarsi innanzi a una moschea - un luogo sacro, che dovrebbe meritare il rispetto anche di chi non professa alcun credo - con un 'porco' al guinzaglio. Esponenti di questo genere dovrebbero essere eliminati immediatamente dalla scena politica per la propria scandalosa indegnità. Essi rappresentano il vero 'cancro' di questo Paese, che lo rende incapace di liberarsi da quel 'fascismo interiore' il quale, regolarmente, ha sempre mandato in frantumi, nel corso della Storia, ogni più fecondo ideale di Patria e di amore profondo nei riguardi del nostro popolo, trascinandolo puntualmente al disastro. Bettino Craxi non fu esente da errori: protesse personaggi inqualificabili; sottovalutò, per eccesso di realismo, la questione morale; confuse il 'rampantismo' come un risvolto della modernità, mentre invece era il segnale più chiaro e concreto di ciò che la piccola borghesia italiana ha sempre chiesto alla politica: il successo disgiunto dai meriti. Ma Craxi era anche un uomo colto, politicamente lucidissimo, con un proprio disegno preciso: ricollegare la sinistra italiana alle sue più autentiche tradizioni risorgimentali e 'garibaldine', liberandola da ogni intellettualismo ideologico d'importazione. E il suo destino politico, così come la sua stessa vita, è ormai destinata a ottenere un riconoscimento pieno, di fronte a una 'casta' che dovrebbe solamente vergognarsi di se stessa e del proprio modo di intendere, svolgere e praticare l'arte della politica.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Davide Viterbo - Torino - Mail - lunedi 19 gennaio 2015 20.10
Non sono d'accordo con la sua strenua difesa di Craxi, che non ha solo fatto errori, ma ha messo le basi per la catastrofe della seconda Repubblica dando man forte al suo amato successore Berlusconi ed alla diffusione della distruzione del "senso morale" (la questione morale di Berlinguer). Craxi non era l'unico ad avere una cultura, anche il famigerato Togliatti con Nenni, De Gasperi ecc. avevano una straordinaria cultura non solo politica.
Vorrei ricordarle che ai vecchi tempi i più accaniti stalinisti dicevano che Stalin era un eroe che aveva fatto "l'errore" di dar troppo potere a Beria e compagni.
Cristina - Milano - Mail - lunedi 19 gennaio 2015 13.21
Condivido tutto, purtroppo per noi.......
Alba - Fabrica di Roma (Vt) - Mail - lunedi 19 gennaio 2015 13.17
Se la "casta" che descrive fosse in grado di vergognarsi gia' avrebbe una pur remota possibilita' di riscatto politico-sociale se non morale. Invece e' capace solo di arroganza bieca e imbecillemente amorale con chi vessa e leccaculismo ancora piu' bieco con chi ha piu' potere di essa. TIREM INNANZ...
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - lunedi 19 gennaio 2015 6.19
Analisi profonda, come sempre. Posso testimoniare, per esperienza personale, che durante i Suoi anni di governo Craxi operò attivamente, attraverso persone di Sua fiducia, per ricondurre le principali aziende controllate dallo Stato nei termini di una gestione efficiente e corretta. Così come operò, sul piano culturale, per riportare il Senso dello Stato nella pubblica amministrazione.
Roberto - Roma - Mail - lunedi 19 gennaio 2015 0.6
Uno degli errori di Craxi è stato anche quello di aver aperto le porte di un partito nobile della sinistra ad affaristi e faccendieri, tutta gente che poi ha cercato e trovato riparo in Forza Italia. Ecco perché i socialisti di ieri non sarebbero mai disposti a ricostruire una forza riformista nella sinistra: perché non sono persone di sinistra. Punto. O meglio: non sono neanche delle persone, ma degli opportunisti che hanno utilizzato il PSI quando questo partito contava veramente. Passata la festa, gabbato lo santo...


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