Piero Di Pasquale, Capo Redattore di
“Next”, notiziario quotidiano in onda sulle frequenze satellitari di
Rainews 24, è stato per lunghi anni il corrispondente della RAI da Los Angeles e il coautore, insieme a Sergio Zavoli, dello storico programma sul terrorismo italiano di matrice ideologica
“La notte della Repubblica”.
Piero Di Pasquale, lei ha recentemente pubblicato, per i tipi della Koinè, un bel libro sul terrorismo di matrice integralista islamica dal titolo “Hezbollah”: quali sono, secondo lei, i pericoli più gravi che sta correndo il mondo occidentale?
“Perché parlare di mondo occidentale? Sarebbe meglio riferirsi a tutto il mondo, senza distinzioni geografiche o culturali. Il terrorismo, infatti, è da sempre contro la civiltà umana. Il pericolo maggiore è proprio questo: credere che siamo solo noi occidentali le vittime predestinate. Ciò non è affatto vero: anche i cittadini del cosiddetto oriente sono minacciati. Quella in atto non è una guerra tra civiltà, come qualcuno vorrebbe farci credere, e nemmeno una guerra tra tempo lineare (giudaico-cristiano) e tempo ciclico (musulmano-orientale), perché se cosi fosse, il risultato sarebbe uno solo: l’estrema follia umana. Questa è una guerra tra passato e futuro, tra i muscoli della forza e l’etica della moderazione. I fondamentalisti (cristiano-sionisti e islamici) credono che solo attraverso l’uso della forza si possa costringere gli avversari a sottomettersi alla propria visione della vita. I moderati, invece, no: pensano sia ancora possibile tornare alla ragione e superare i problemi che i tempi ci pongono dinanzi usando le chiavi del dialogo e della comprensione. Prevarranno i primi o i secondi? Questa è la vera scommessa…”.
La religione è l’oppio dei popoli o una disperata richiesta di aiuto?
“Se in ogni tempo, in ogni angolo del pianeta, sotto qualsiasi cultura, seppur in forme diverse, si è sempre manifestato un bisogno del trascendente, ciò vorrà pure significare qualcosa. Ciascuno risponde a questo bisogno con gli strumenti che la società nella quale vive e cresce gli fornisce. Il disperato e ineliminabile bisogno di Dio ci accompagna da che si ha memoria. Tuttavia, accanto a questo bisogno naturale, c’è sempre stato, nella Storia dell’umanità, chi ha tentato di piegarlo a fini di potere personale”.
Ma lei non crede che, storicamente, le peggiori guerre e i più virulenti massacri siano avvenuti proprio pretendo a pretesto motivazioni mistico - religiose? Forse, sarebbe il caso di far comprendere a molti popoli che, tralasciando di disturbare Dio, si possono evitare tante conseguenze nefaste…
“E’ vero. Ma è altrettanto vero che l’esperienza della Storia vive la stagione di una generazione. Quella della coscienza, invece, è immutabile”.
Quali sono le responsabilità storiche dell’occidente nei confronti della questione Mediorientale?
“Aver lasciato che si arrivasse a questo punto”.
Lei è favorevole all’ormai tristemente famoso muro divisorio tra Israele e Stato palestinese?
“Nessuno, in linea di principio, è favorevole all’innalzamento di steccati. Il problema però qui è un altro: può essere, il cosiddetto muro, utile a garantire più sicurezza ad Israele? A me non sembra. Il terrorismo è un virus, si propaga e si trasmette invisibile, anche attraverso il cemento. Dunque, quella del muro non mi sembra affatto una buona soluzione, poiché serve solamente ad ammettere il fallimento della convivenza pacifica, l’impossibilità di ogni dialogo, la fine della speranza. Sotto questo aspetto, anziché risolvere qualcosa, il muro rischia, a mio parere, di aggravare la situazione…”.
Gerusalemme è una città posta esattamente all’incrocio di tre religioni monoteiste importantissime: quella ebraica, quella musulmana e quella cattolica. Come si è potuto creare un crogiuolo di culture tanto complesso proprio in quella parte del mondo?
“Questo è un vero mistero: che cosa abbia fatto sì che in poche centinaia di metri quadrati, tanti sono quelli della città vecchia di Gerusalemme, i testi sacri delle tre religioni monoteiste indicassero i luoghi dove fu sepolta l’Arca della Santa Alleanza, dove venne ucciso Gesù di Nazareth e la roccia dalla quale ascese al cielo Mohamed, rimane un quesito senza risposta. Quel che è certo è che quella città, santa per tutte e tre le religioni, è da sempre una ferita aperta nella coscienza dell’umanità”.
Sul piano della sicurezza, che pericoli corre l’Italia, in particolare? E qual è il Paese che più dovremmo temere, fra quelli del bacino Mediterraneo?
“Il timore maggiore è l’eventualità che si concretizzi la minaccia di svegliarsi, in un giorno 11, sotto il fuoco e il sangue del terrore. Non c’è un Paese da temere, e non c’è nessun popolo da tenere sotto controllo…”.
Qual è o quale potrebbe essere il nostro ruolo nella crisi mediorientale?
“Dal punto di vista politico, come Stato italiano possiamo concorrere a far sì che l’Unione Europea giochi un ruolo più incisivo nella complessa partita diplomatica sul Medio Oriente. Il problema è che, in questa momento storico, l’Unione europea non possiede gli strumenti necessari per far sentire la propria voce e far prevalere il proprio progetto politico (ammesso che ne abbia uno condiviso da tutti i Paesi membri). Per quel che concerne l’Italia, essa è innanzitutto espressione geografica e culturale del Mediterraneo e la vocazione della nostra penisola e del nostro popolo è sempre stata quella di ‘ponte’ tra il Medio Oriente e il Nord Europa. I tradizionali buoni rapporti con il mondo arabo e con i palestinesi, da una parte, e con lo stato di Israele, dall’altra, devono spingerci a mediare le posizioni e a far capire, a quella parte di mondo, che non si arriva in nessun porto seguendo le rotte della violenza”.
Un suo giudizio sulla politica estera del governo Berlusconi: non crede che il nostro esecutivo sia stato troppo filo-israeliano, in questi ultimi anni, magari a causa di una sorta di ‘sindrome dell’11 settembre’?
“Berlusconi filo-israeliano. Berlusconi filo-americano. Berlusconi filo-russo: sono solo slogan. Il problema è saper fare delle scelte che possano essere utili alla soluzione del problema iasrelo-palestinese. Sotto questo aspetto, ritengo che il nostro governo abbia perso un’occasione importante, durante il semestre italiano di presidenza europea, per far sentire a tutti una voce di pace”.
Lei è pro o contro la teoria della guerra preventiva? E perché?
“La guerra è sempre da rifiutare. Essa è sempre stata il mezzo per costringere il nemico a deporre le armi e ad arrendersi agli interessi del vincitore. La guerra preventiva ha spostato l’asse dei tempi, dal dopo al prima. E questo la rende ancora più grave”.
L’intervento in Irak ha finito col dimostrare la scarsa capacità degli Stati Uniti a gestire la pace e la ricostruzione di una società pacificata, secondo lei?
“Vi rispondo con le parole di un esperto statunitense, ospite di una puntata della trasmissione che conduco tutti i giorni su RaiNews 24, ‘Next’, al quale ho posto, più o meno, la medesima domanda: noi abbiamo addestrato i nostri soldati a fare la guerra e non a gestire la pace. I ‘nostri’ sono i più bravi a combattere, hanno le armi migliori, una struttura militare organizzata, ma non possiedono la duttilità degli italiani e non sono altrettanto bravi quando si tratta di rimanere a garantire l’ordine in un dopoguerra. E’ amaro costatarlo ma è così…”.
E ciò non le risulta uno strano limite, per una potenza accusata di imperialismo?
“Dipende dalla concezione che si ha del ‘caos’ e del suo governo…”.