Insegnare ai bambini come comportarsi nelle varie situazioni, a gestire la rabbia, le delusioni e, più in generale, il proprio stato d’animo, sembra diventato il nuovo obbiettivo della didattica americana. Negli Stati Uniti la questione è molto sentita: il massacro della Columbine High School nel 1999 e, più recentemente, del Virginia Tech nel 2007, sono due esempi di come una non corretta gestione degli attacchi di bullismo subiti dai ragazzi, unita ad altri fattori, possa portare a tragiche conseguenze. Normalmente, tutto ciò dovrebbe essere appreso tra le mura domestiche, sotto la guida dei genitori. Eppure, questo compito viene o tralasciato, o considerato secondario dalle famiglie, rimandando l’apprendimento di queste facoltà all’adagio: “Si deve fare esperienza”. In questo spazio vuoto si inserisce la scuola, assumendosi il compito di aiutare questi ragazzi a comprendere loro stessi, le proprie reazioni, a tenere a freno la propria rabbia e lo scontento; su queste basi sono stati varati, in alcune scuole selezionate degli Usa e con l’approvazione di Washinghton, dei programmi di Educazione emotiva: una serie di corsi innovativi, svolti parallelamente alla normale didattica. Alla base di questo esperimento si trova il concetto di intelligenza emotiva che, secondo la definizione data dallo psicologo statunitense David Goleman, è data “dall’insieme di competenze o caratteristiche che sono fondamentali per affrontare con successo la vita: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e capacita? di automotivarsi”. I programmi di educazione emotiva sono vari, e hanno come carattere comune la fisicità: si passa dalla simulazione di una lite con i compagni di gioco, alla memorizzazione delle espressioni legate ai differenti stati d’animo, fino alla lettura ad alta voce dei propri temi e alla recitazione dei libri letti; sicuramente si tratta di un terreno molto delicato, soprattutto per gli insegnanti, chiamati a gestire diversi stati d’animo e le diverse personalità degli alunni. I risultati, nelle scuole scelte, si sono rivelati molto più che incoraggianti, con notevoli miglioramenti di quei ragazzi che normalmente vengono considerati “problematici”; inoltre, secondo gli esperti, a giovare di questo nuovo approccio all’educazione non è solo la carriera scolastica, ma anche la futura vita, personale e professionale, dei soggetti. Esistono comunque dei pareri discordanti, come quello della giornalista americana Elizabeth Weil, che considera i comportamenti “esuberanti” come diritti dei bambini da preservare incondizionatamente, e che “il rischio è quello di andare incontro ad una ortodossia emotiva”. Verrebbe da chiedersi, a questo punto, se sia possibile replicare ciò che è stato fatto in America anche nelle scuole italiane dove, da qualche anno a questa parte, si è assistito ad un crollo dello standard educativo. Abbiamo chiesto l’opinione di Loredana, maestra elementare dal 1985, che raccontandoci la sua esperienza quotidiana non si mostra molto convinta della bontà di questo metodo: “L’educazione dei bambini”, ci spiega,”è diventata problematica. I bambini che arrivano a scuola non sono in grado di sostenere il confronto con gli altri. Fino a qualche anno fa” prosegue, “l’educazione emotiva e quella razionale dei bambini procedevano di pari passo; ora molto spesso ci troviamo a gestire delle schegge impazzite, senza avere neanche il personale sufficiente per farlo, grazie ai continui tagli all’istruzione”. Quando le chiediamo, infine, di individuare le responsabilità di questi comportamenti e una possibile soluzione, la risposta è secca: “Il problema sono i genitori, completamente assenti, che parcheggiano i figli davanti alla televisione e trascurano il tempo da trascorrere insieme: su di loro andrebbe fatta dell’educazione emotiva”.