Il conflitto russo-ucraino ha riportato in auge antiche teorie geostrategiche che risalivano a prima della ‘guerra fredda’: il controllo di ‘Heartland’ - il cuore della Terra - e la necessità di non sovrapporre sotto un unico potere quest’area con il ‘Rimland’ (la fascia costiera euroasiatica). Sono gli scenari di Nicholas Spykman, che scrisse trattati di prim’ordine intorno a tali questioni e alla loro importanza strategica. I blocchi economici mondiali, composti dal Nafta-South America, Nafta-North America, Unione europea e Asia, sono in una situazione di forte concorrenza globale. E una Europa allargata all'Ucraina potrebbe persino indebolire l’Ue, come sanno bene gli americani, i quali per decenni hanno perseguito una precisa politica di ‘contenimento’ dell’Urss imperniata proprio sulla contrapposizione tra Rimland ed Hearthland. Insomma, si tratta di una bella ‘gatta da pelare’: anche prescindendo dalla pesante questione delle risorse minerarie e del sottosuolo, esistono una serie di conseguenze prettamente storico-politiche che non sono di poco conto. L’Ucraina ha sopportato a lungo il dominio dell’Unione sovietica. E quando è riuscita a svincolarsi dalla Confederazione degli Stati indipendenti, sorta in seguito al crollo dell’Urss, ha immediatamente cominciato a guardare verso ovest nel tentativo di agganciarsi al mondo occidentale. Non è paradossale che, mentre all’interno dell’Unione europea si sta svolgendo una controversa campagna elettorale in cui forti ‘venti euroscettici’ soffiano sul fuoco di nazionalismi e localismi residuali, nel cuore dell’area euro-asiatica stia invece per esplodere un conflitto micidiale a causa del sogno europeista di milioni di ucraini? Ebbene: queste sono le classiche situazioni in cui non solo non dovremmo affatto rimpiangere di far parte dell’Unione europea, bensì dovremmo protestare per il suo mancato completamento in quanto struttura sovranazionale capace di produrre un’unica politica estera, al fine di rappresentare gli interessi economici di tutti i suoi Paesi-membri. D’altronde, se Adolf Hitler, a suo tempo, ha ritenuto opportuno scatenare un conflitto di proporzioni gigantesche, ponendosi alla ricerca di uno ‘spazio vitale’ per la Germania, forse, sotto il profilo geopolitico, qualche importanza quest’area dovrà pur averla. Sui manuali di Storia contemporanea, il riferimento non è mai diretto: si parla spesso dei pozzi petroliferi del Caucaso, mai del ‘ruolo-perno’ del ‘Rimland’, cioè dell’area costiera che si affaccia sul mar Nero, compresa la Crimea, fondamentale per i russi sin dai tempi degli Czàr. Si tratta di una zona che possiede un peso specifico non indifferente: il Rimland è potenzialmente attaccabile su due fronti - dal lato di terra e da quello marittimo - e riveste una delicatezza strategica di prima grandezza per il controllo dei commerci petroliferi e minerari dell’intera ‘isola mondo’ (giacimenti petroliferi del Kazakhstan e del Sinkiang). A loro volta, le vaste pianure dell’Heartland sono ricchissime di risorse estrattive, fondamentali per gli standard di vita del mondo occidentale. Ecco dunque spiegato il forte interesse filorusso a mantenere insieme queste due aree: chi riesce a sovrapporre Heartland e Rimland si ritrova al centro dei commerci dell’intera ‘Eufrasia’. E chi controlla l’intera ‘isola mondo’ controlla il mondo, poiché potenzialmente in grado di rendersi autonomo sotto il profilo del reperimento delle risorse energetiche e minerarie. La questione non può essere limitata alle differenze etniche o di nazionalità: russofoni e ucraini, anche se da sempre ben distinti tra loro, sono comunque due popolazioni slave. Non si tratta di identità ‘sorelle’, questo certamente no, ma ‘cugini’ lo sono eccome. Più o meno, come possono esserlo le culture latine e del Mediterraneo. Dunque, il conflitto che rischia di aprirsi in questo inaspettato ‘teatro di crisi’ in realtà è di natura fortemente economica, essendo in gioco l’autosufficienza energetica di una vasta area del pianeta. E questi sono argomenti intorno ai quali non ci si può permettere di scherzare. A nostro parere, la comunità internazionale dovrebbe mettersi il cuore in pace, almeno in questa fase, in merito ai sogni ucraini di adesione all’Ue, per puntare invece verso una sostanziale autonomia e neutralità del Governo di Kiev sia dal blocco russofono, sia da quello occidentale. E già questo significa, in ogni caso, far ‘digerire’ a Vladimir Putin un nuovo ruolo di ‘ago’ della bilancia agli ucraini, i quali ormai anelano espressamente ad affrancarsi da qualsiasi influenza, di qualsivoglia genere e tipo, da parte di Mosca. Entrando poi nel merito delle sanzioni contro Putin, queste non ci appaiono affatto una buona soluzione, poiché significa minacciare con delle ‘pistole ad acqua’ una potenza che invece ha il ‘coltello’ dalla parte del ‘manico’ e che potrebbe lasciare mezza Europa senza gas. La recente conferenza di Ginevra ha stabilito un ruolo fondamentale proprio per la Russia, che dunque dev’essere mantenuta in una posizione di controllo della situazione. Se il problema fosse esclusivamente di natura nazionalista, la semplice divisione dell’Ucraina tra filo-russi e filo-europei potrebbe avere le sue basi. Siccome il problema non è tutto lì, ma s’incentra sul controllo delle risorse estrattive di mezzo mondo, oltreché dell’esigenza naturale della Russia ad avere uno sbocco sul mar Nero, ecco che si ritorna, per forza di cose, non tanto alle vecchie teorie di contenimento dell’Unione sovietica, ma addirittura a quelle della prima metà del XIX secolo, mai del tutto risolte sin dai tempi dell’invasione napoleonica. Una questione vecchia e stravecchia, in cui la Russia, storicamente, pretende di essere rispettata come potenza egemone dell’intera area. Ciò non significa mandare a monte i sogni di occidentalizzazione del popolo ucraino, bensì di ‘ripiegare’ su un percorso di graduale avvicinamento di Kiev all’Ue, evitando che un simile processo significhi un sostanziale isolamento di Mosca. Chi di recente ha parlato di sogno di restaurazione dell’Urss da parte di Putin, rispolverando il suo passato di alto burocrate del Kgb, ha solamente ‘straparlato’: queste situazioni non si risolvono con le ‘battute’ provocatorie, né tantomeno con conflitti di matrice ‘patriottica’. Tali diatribe si risolvono, invece, con gli accordi internazionali, in cui ognuno possa veder garantita la difesa dei propri interessi strategici ed economici. In fondo, è stata la Russia a vincere la seconda guerra mondiale in Europa orientale: cerchiamo di non dimenticarlo.