Viviamo nel Paese delle illusioni. La grande e bella Italia, madre di una delle più grandi culture della Storia, si è dimenticata il valore e l’importanza della conoscenza. Fino a pochi anni fa, la conclusione del ciclo di studi avrebbe portato a un lavoro sicuro. Oggi, la ‘corona d’alloro’ tanto ambita significa solamente buttarsi nel mondo degli adulti senza avere certezze sicure su cui fare affidamento. I numeri parlano chiaro: secondo l’Agenzia Anvur (Agenzia di valutazione del sistema universitario) laurearsi in Italia rende meno che conseguire una laurea presso gli atenei esteri. Infatti, su una base di dati ottenuti nel corso dell’anno 2010, si denota che il reddito di coloro che hanno concluso i loro studi è inferiore di ben 15 punti percentuali rispetto al resto d’Europa. Spiega a tal proposito Ignazio Visco, Governatore di Bankitalia, il quale ha illustrato di recente una serie di dati Eurostat nel corso di un convegno organizzato proprio dall’Anvur, che “il rendimento inferiore dei nostri connazionali italiani dipende dalla bassa attività innovativa delle imprese italiane, legata alla difficoltà di assumere lavoratori adeguati e qualificati; ciò comporta un calo di rendimento pari all’11% per coloro che si trovano nella fascia d’età fra i 25 e 34 anni”. Visco sostiene inoltre che una delle maggiori cause di questo calo economico-culturale dipenderebbe anche dal contesto sociale italiano: “L’Italia è un Paese in cui le materie prime scarseggiano e l’unico investimento sicuro su cui possa fare affidamento sono tutti coloro che decidono di contribuire con i loro studi al risollevamento del Paese. Se però la stessa politica e burocrazia italiana non contribuiscono, il risultato è una forte migrazione di cervelli italiani in città europee. Investire”, continua Visco, “nell’alfabetizzazione informatica e promuovere percorsi formativi verso discipline tecnico-scientifiche così come la rilevanza di contrastare l’analfabetismo funzionale. Non è solo colpa di chi non studia ma anche della struttura produttiva del nostro Paese, bisogna sradicare il circolo vizioso tra basso capitale umano e basso investimento”. Il bisogno repentino di una crescita senza pari sente la pressione che proviene dal mercato globale, il quale continua a non fermare la sua corsa di innovazione. Se il nostro Paese non capisce che per ripartire bisogna cominciare dai giovani, sicuramente le difficoltà diverranno sempre più insormontabili. Proprio in quest’ottica drammatica è nata la ‘sperimentazione Teco’: essa consiste nella sperimentazione della valutazione sugli esiti effettivi dell’apprendimento di natura generalista dei laureandi italiani attraverso un test. Il test Teco prevede un modello unico per tutti i laureandi e consiste nella combinazione di domande. sia a riposta aperta, sia a risposta chiusa. Questa particolare modalità di inchiesta proviene dal Cae di New York. E ben 12 Università italiane (Tor Vergata e Sapienza di Roma; Statale di Milano; Firenze, Bologna; Udine; Padova; Piemonte Orientale; Federico II di Napoli; Lecce; Messina e Cagliari) hanno decido di mettere in atto la sperimentazione per i loro laureandi. I risultati dei test, condotti nel corso dello scorso anno, hanno dimostrato che i nostri ‘neodottori’ tendono verso un’elevata capacità di esercitare il pensiero critico per risolvere problemi di varia natura, al fine di prendere decisioni per collaborare in contesti socio-economici lavorativi. Inoltre, emerge che gli universitari italiani sono più propensi verso una formazione di tipo letteraria e comunicativa che verso discipline riguardanti materie tecnico-scientifiche. A tal proposito, abbiamo chiesto il parere di due ragazzi: Francesca, laureanda in Scienze della comunicazione e Marco, laureando in Ingegneria informatica presso l'università degli studi di Roma tre. Questi due pareri che abbiamo raccolto sono fortemente contrastanti, poiché Francesca, dopo la laurea, vede il suo futuro coperto da un velo plumbeo e alla domanda: cosa ti aspetti dalla Laurea? la sua risposta è stata: “Concludo il mio ciclo di studi per me stessa, per i miei amici, ma soprattutto per i miei genitori, che da quando ho iniziato a studiare mi hanno sempre supportata. Dopo la laurea vedo un lungo periodo di vacanza e, per quanto riguarda il lavoro, non so ancora dove verteranno le mie scelte. Praticamente, vivo nell’oscurità”. Diverso è il parere di Marco, il quale crede fortemente nella rinascita di questo Paese: “Ho sempre sognato di diventare ingegnere informatico. So che al momento della conclusione dei miei studi dovrei fare un biglietto di sola andata per un altro Paese, ma io credo nell’Italia e negli italiani. E credo che, un giorno, questo pezzo di carta che avrò in mano mi darà delle grandi soddisfazioni”. Insomma, che i giovani siano il nostro futuro sembra essere ormai divenuta una frase fatta, utilizzata dai ‘potenti’ per dare l’illusione di un cambiamento. Ma ciò deve accadere nella concretezza della vita quotidiana, perché il domani è diventato una vera e propria ‘chimera’.