L’On. Nino Lo Presti è parlamentare di Alleanza Nazionale eletto nel collegio di Palermo-Capaci.

On. Lo Presti, dopo le recenti prese di posizione del Presidente del suo partito, l’On. Gianfranco Fini, su fascismo e olocausto, lei ritiene che Alleanza Nazionale abbia ormai superato gli esami di ammissione per rappresentare una destra moderna, moderata, democratica e di governo?
“Credo proprio di sì: le coraggiose revisioni del Presidente Fini sono indubbiamente importanti, se non fondamentali. Il problema del fascismo non può risolversi con una semplice rimozione, con un ‘transfert’ collettivo di partito o mediante la considerazione che fu una parentesi antidemocratica necessaria ad una fase riorganizzativa dello Stato unitario, ma deve venir osservato alla luce di una società in continuo mutamento e in un’ottica di una moderna cultura conservatrice, in grado di selezionare ciò che è ancora attuale rispetto a ciò che si deve abbandonare. La Storia, inoltre, è una ricerca che va posta anche con lo sguardo rivolto a come è il mondo oggi, non soltanto contestualizzando l’analisi a situazioni e a condizioni socio-economiche, politiche e militari oggettive o presunte tali: il problema della manipolazione storiografica, anche inconsapevole, è infatti sempre in agguato. Credo, pertanto, si possa anche fornire un giudizio positivo del corporativismo giuridico fascista, della sua lungimiranza urbanistica, dell’approccio sociale con cui ha affrontato singoli problemi del Paese, ma non si può rimanere ancorati al passato rigettando il mondo per come è oggi. Insomma: non si può vivere senza la Storia, ma nemmeno ‘contro’ la Storia. E ritenere che il fascismo non abbia commesso errori macroscopici, magari numericamente pochi ma gravissimi, non rende un buon servigio alla Storia stessa”.

Da un punto di vista puramente tattico, non le sembra che il partito abbia talvolta tentennato, anche in questi ultimi anni, tra sussulti giustizialisti e qualche suggestione confessionalista?
“Lei fa ora riferimento ai tanto discussi problemi di identità di Alleanza Nazionale. Ma comprendo la propositività della domanda, poiché spesso veniamo accusati di aver voluto modificare il nostro DNA strumentalmente. Il dibattito interno al nostro partito è invece sincero, anzi talvolta lo è sin troppo: stiamo cercando di rivitalizzare una linea politica di destra democratica e nazionale depurata da ogni contaminazione del passato. Essere fascisti e nazionalisti non è la stessa cosa: richiamarsi ad un nobile filone culturale può rendere Alleanza Nazionale il partito che più di tutti – e più di altri… - ha l’opportunità di ricollocarsi nell’alveo di una rispettabilissima tradizione filosofica, quella di Bertrando Spaventa, di Giovanni Gentile, di Gioacchino Volpe”.

Ma quali sono, oggi, le principali connotazioni d’identità di An? Quelle di un grande partito conservatore liberal-nazionalista? Oppure, cos’altro?
“L’anima sociale del partito non deve essere perduta, né mandata in soffitta, se vogliamo mantenerci in linea con un idealismo politico in grado di dare risposte ai tempi che cambiano. Saremmo dei pessimi ‘teorici della prassi’ se lo facessimo, magari spaccando il partito: questo è un errore che lasciamo fare ad altri. Tuttavia, richiamarsi ad uno snodo conservatore, ben individuabile all’interno della storia della cultura politica italiana, può farci recuperare quell’ideale di ‘metodologia di ordine’ e di legalità compatibile, a mio parere, con i nuovi diritti e le nuove libertà. In un certo senso, ritengo che questa possa essere la più laica delle risposte che posso dare, poiché ciò mi appare, oggi, la vera ‘bussola d’orientamento’ di Alleanza Nazionale”.

E il vostro elettorato? E’ convincente l’ipotesi di una sua maturazione collettiva con relativo abbandono di nostalgie social-fasciste, soprattutto tra i vostri giovani?
“Assolutamente sì, poiché questo processo era già in atto sin dai primi anni ’80 del secolo scorso. Era finita l’epoca degli scontri a forte intensità ideologica e gli anni ’80 e ’90 sono stati proprio quelli della nostra ‘stasi riflessiva’, della preparazione al salto di qualità della destra italiana. Non è solo tattica quella di Fini. Noi abbiamo metabolizzato meglio della sinistra la vittoria delle democrazie sui sistemi totalitari, l’abbiamo capita prima, anche se negli anni di Tangentopoli venimmo accusati di aver cambiato le nostre idee nel giro di dieci minuti. Ci sono ancora molte sovrastrutture, nella mentalità politica italiana corrente. E noi di An continuiamo a venir puniti eccessivamente da questo tipo di pregiudizi: in verità, si ha ancora paura di guardare dentro An, perché forse ancora non si vuol comprendere la nostra sincerità nel continuare ad affrontare la società odierna con il massimo dell’apertura mentale possibile, senza più irriducibilità, senza razzismi di nessun genere, persino con una certa simpatica ironia, che riteniamo di possedere in quanto allergici alle lacrime da versare solo quando un intero impianto burocratico, politico e culturale è rovinato sotto le sue stesse macerie…”.

A proposito: non c’è anche qualche problema di ‘linguaggio’? Nei discorsi e in qualche dichiarazione, alcune tentazioni retoriche a volte si fanno ancora sentire…
“Qualche ‘erroneo presupposto’, in alcune analisi, esiste ancora. Ma è veramente poca cosa, se ripensiamo al passato. In dieci anni, Alleanza Nazionale ha compiuto dei passi giganteschi, anche nel processo di svecchiamento dei propri quadri dirigenti. E anzi, spesso ci accorgiamo di riscuotere simpatie impensate, poiché il nostro processo di maturazione è forse quello più autenticamente politico di tutto il panorama nazionale. Sono in molti a ritenere questo, a pensare, cioè: “Non è la mia politica ma - vivaddio! - è politica”. E ciò è la prova provata che la retorica degli anni ‘ruggenti’ è forse la questione che abbiamo analizzato e combattuto più a fondo, all’interno del nostro partito”.

Forza Italia è figlia di Guareschi o di De Gasperi, secondo lei?
“Non amo dare giudizi sugli altri partiti: mi sembrerebbe di ‘ficcare il naso’ in casa di altri. E non condivido questa domanda, poiché pone l’accento su un presunto liberismo populista che non rende giustizia al partito del Presidente Berlusconi. Il livello qualitativo complessivo dei partiti italiani era in caduta verticale già da decenni e non credo che questo processo sia imputabile esclusivamente a Forza Italia. Noi sappiamo cosa vuol dire espiare una colpa più di quanto si meriti, e Forza Italia non mi sembra un partito che possa venir accusato di provincialismo, di amore per l’ordinaria amministrazione o di preferire il mondo contadino a quello della grande città. Dunque, Guareschi non c’entra nulla. E neppure De Gasperi, se non da un punto di vista puramente ‘geografico’. Forza Italia sconta il passaggio naturale da partito-azienda a partito politico vero e proprio. Ma ciò può anche rappresentare la sua vera forza, poiché gli consente di mantenere ben viva una propria prospettiva. Io non sono tra quelli che pensano che ci sarà il ritorno dei democristiani. Anzi, ritengo che Forza Italia potrà resistere al cosiddetto ‘dopo-Berlusconi’ se saprà selezionare gli uomini adatti a guidare il movimento nel futuro”.

E cosa pensa della Lega Nord? La ritiene incanalabile in un percorso riformistico-federalista in grado di non farla trascendere verso il folclorismo politico?
“La Lega Nord è una spinta verso il rinnovamento, su questo non c’è dubbio alcuno. Ma il principio dell’interesse nazionale, in termini di sussidiarietà amministrativa, può essere utile a riequilibrare i rischi di un riformismo imponderabile, ovvero di conseguenze ed effetti di una riforma costituzionale non previsti in sede di elaborazione del progetto. Se il vecchio apparato centralista dello Stato denuncia una serie di inefficienze, moltiplicare per venti quei problemi mi fa pensare ad un Bossi ‘apprendista stregone’. Spero che la Lega possa comprendere queste preoccupazioni: se il Paese ci chiede riforme costituzionali importanti, tutto il Parlamento ha il dovere morale di portare a termine questo compito, al di là delle proprie visioni di parte. In linea più generale, invece, io sono tra quelli che si ostinano a ‘vedere il bicchiere mezzo pieno’. A parte qualche ‘sparata’, sono abbastanza soddisfatto del comportamento della Lega, in questi anni di governo del Paese. L’attuale esecutivo è, già ora, il secondo più lungo della Storia dell’Italia repubblicana e non tutti avrebbero scommesso su questo obiettivo ad inizio di legislatura. Il Presidente Berlusconi lo ha recentemente sottolineato e ha fatto bene: molti commentatori politici non avrebbero scommesso nemmeno un foglio da 10 Euro sulla tenuta della maggioranza di governo che ha vinto le elezioni del 13 maggio del 2001. E, invece, siamo ancora qui, tutti assieme…”.

Quali sono, oggi, gli obiettivi politico-culturali di una moderna destra di governo?
“In primo luogo, ritemprare un concetto di amore per la Patria attraverso un’approfondita analisi storica del Risorgimento italiano. L’Italia è un Paese che ha conosciuto tardi il proprio processo di riunificazione. Studiare le motivazioni storiche di questo contorto percorso, per ricercare le proprie radici culturali nazionali, mi sembra un tema interessante, anche alla luce di contributi ‘altri’. Rileggerei persino Gramsci, se ciò mi può aiutare a capire il punto di vista italo-marxista sui problemi del Mezzogiorno. Questo non significa essere arrivati al supermercato delle idee o alla surreale ‘bancarella della cultura’ rappresentata da Nanni Moretti nel film ‘Sogni d’oro’, poiché non c’è nessuno in An che si sognerebbe di leggere Lenin solo perché gli può tornar comodo come ‘zattera ideologica’ alla quale agganciarsi. Ma per ciò che concerne l’Italia, il discorso è differente: anche a sinistra si è sempre tenuto conto che il nostro è un Paese profondamente cattolico e uno studio approfondito sul tema della religiosità popolare, ad esempio, mi affascina se letto in una ‘chiave’ di storia della sociologia italiana. Se poi quest’ottica è stata affrontata dal Gramsci, dal Croce e dal Gentile, non credo sia molto importante e ritengo intellettualmente sano non evitare di comprendere le opinioni del primo in quanto marxista. Una buona idea può venire da qualsiasi direzione e se noi non vogliamo più subire pregiudizi, non dobbiamo nemmeno averne. Questo è un concetto fondamentale della nuova cultura di destra: un moderno partito conservatore deve saper accettare di venir stimolato da una buona opposizione, deve sostenerla quando è in difficoltà, deve saper riconoscere quando sono i progressisti ad avere il consenso, le idee e gli uomini più adatti a succederle al governo del Paese, poiché ciò rende più sano, più competitivo, il funzionamento di un sistema politico. Teorizzare un sistema dell’alternanza non significa avere il culto della sconfitta politica, ma avere il coraggio di intraprendere il cammino del proprio Paese, di accettare le critiche quando vengono poste su un piano propositivo, non meramente utilitaristico. La riflessione della cultura di destra è questa, oggi. E noi di Alleanza Nazionale dobbiamo rendercene conto: il novecento si sta allontanando, con il suo progresso ‘forzato’ e con i suoi deliri”.

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