“Ci avviciniamo, dunque, a voi con lo stupore di chi si rende conto di essere davanti a un pezzo di storia che viene da una tradizione unica, ma contemporaneamente, sappiamo perfettamente che viviamo in un tempo di grandi difficoltà, di struggenti responsabilità. E di fronte all’ampiezza di questa sfida abbiamo la necessità di recuperare il coraggio, il gusto e, per qualche aspetto, anche il piacere di provare dei sogni più grandi rispetto a quelli che abbiamo svolto fino ad oggi e accompagnarli a una concretezza puntuale e precisa. […] Chiediamo la fiducia a questo Senato, ci impegniamo a meritare la fiducia come Governo perché pensiamo che l’Italia abbia la necessità urgente di recuperare la fiducia come condizione per uscire dalla crisi in cui ci troviamo”. Queste le parole iniziali del discorso, durato un’ora e 10 minuti, tenuto dal neopresidente del Consiglio, Matteo Renzi, presso il Senato della Repubblica lo scorso 24 febbraio. Con fare spigliato, mano in tasca, battute sottili e una gestualità da affabulatore, il sindaco d’Italia ha conquistato la fiducia sia in Senato, sia, il giorno dopo, alla Camera. I suoi modi di fare, una buona retorica e una semplicità talvolta disarmante, hanno permesso la sua ascesa al potere in pochissimo tempo. Nel suo discorso, ci ha fatto sorridere la citazione del titolo della canzone di Gigliola Cinguetti ‘Non ho l’età’, poiché a soli 39 anni, Renzi è il più giovane presidente del Consiglio che l’Italia abbia mai conosciuto. ‘Povera Italia’ è il pensiero che continua a rimbombare nella nostra testa: siamo in una condizione sociale, politica, economica, finanziaria che spaventa ogni singolo cittadino che si considera, ancora, ‘italiano’. E scriviamo ‘ancora’ perché, come ci ha definito Renzi, siamo la ‘generazione Erasmus’, che preferisce abbandonare la nave che affonda per cercare la salvezza in un vascello più sicuro. Come biasimare i nostri giovani, se parlare del futuro ormai fa paura? Terrorizza, soprattutto, la possibilità che il futuro possa essere ancora peggio del presente. Viviamo in un continuo stato di allerta, ma non per il maltempo - anche se il meteo preoccupa i lavoratori del settore agricolo primario - ma per le condizioni che premono su noi stessi. Una volta si parlava del ‘domani’ pensando a una bella casa, a un lavoro fisso che assicurasse un certo benessere economico e, magari, anche a una piccola famigliola felice stile ‘Mulino Bianco’. Oggi, invece, si guarda al futuro pensando di arrivare ‘sani e salvi’ a fine mese. Ed ecco che il nuovo Governo Renzi, alla luce di questa drammatica situazione, presenta a gran voce, davanti a senatori e deputati, l’urgenza di un cambiamento radicale. Potrebbe venirci una gran risata, dato che negli ultimi 20 anni le promesse di un ‘radicale cambiamento’ sono state talmente deluse che, ormai, il popolo italiano si sente amareggiato solamente all’idea di un’ennesima presa in ‘giro’. Ma andiamo per gradi: l’ex sindaco fiorentino propone di darsi delle scadenze. Entro il primo luglio 2014 - giorno di inizio del semestre italiano di presidenza europea - l’Italia dovrà essere in grado di presentarsi di fronte alle ‘madre Europa’ in una condizione di palingenesi già avviata, così da mostrare ai nostri ‘vicini’ come ‘La grande bellezza’ non sia solo un film diretto dall’italiano Paolo Sorrentino, ma un nostro status mentale di prim’ordine. Al fine di migliorare questa forma mentis, bisogna allontanare il pregiudizio che il nostro popolo viva in una costante subalternità culturale nei confronti del ‘vecchio continente’. Siamo noi la patria della cultura; siamo noi la terra della letteratura; siamo noi il punto di inizio della Storia mondiale. Il problema fondamentale, però, è che sebbene l’Italia abbia dato il via alla civilizzazione del mondo intero, in seguito abbiamo fatto un grandissimo passo indietro proprio sotto il profilo della nostra mentalità di fondo. Affinchè si possano risolvere veramente i problemi bisogna partire dal concetto di ‘Uno’ plotiniano, per poi pensare al ‘Tutto’. In termini lontani dalla buona filosofia greca, l’Italia deve ricominciare, in primis, dalle ‘basi’. Per questo Matteo Renzi, neo Lorenzo de Medici, ha stabilito che la priorità per uscire da questa situazione di crisi spetti alle istituzioni scolastiche. Dobbiamo porci con un atteggiamento diverso dal momento che, per indicare una prospettiva di futuro al popolo italiano, bisogna istruire per bene coloro che ci permetteranno di vivere nel nostro domani. L’educazione è il motore di sviluppo per un Paese, che deve risollevarsi dal baratro. E, per far questo, bisogna avere una tangibile concretezza amministrativa - purtroppo immobilizzata da troppa burocrazia - che permetta di rivisitare la parola ‘politica’, la quale per molti, fino a oggi, ha rappresentato solamente una terribile parolaccia e, per altri, una divertentissima barzelletta. L’Italiano, secondo Renzi, deve ritrovare la fiducia in quella che tutti ormai chiamiamo ‘casta’. Anche se, in fondo, tale titolo non significa granché: non siamo di certo all’epoca del feudalesimo, nel quale bisognava obbedire al più forte. Siamo in un contesto sociale e storico nel quale l’essere umano ha lottato secoli per guadagnarsi le libertà che possiede oggi. E, di certo, non sarà questa brutta ‘favoletta’ da racconto di Halloween a reprimere ciò che noi siamo e saremo. L’Italia è un Paese democratico che si fonda sulla Costituzione e sulle leggi: ecco allora da cosa il neo-presidente dovrebbe ripartire. La scaletta che si è prefissato è decisamente buona - sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione; costituzione e sostegno di fondi di garanzia; riduzione del cuneo fiscale; pacchetto di revisione della giustizia; piano-lavoro per diminuire la disoccupazione, giovanile e non - come lo erano anche quelle dei premier del passato, che alla fine hanno solo peggiorato le cose. Allora, che il giovane Renzi ci dimostri che questa sua coinvolgente parlantina simpatica da buon toscano e quella gestualità ammaliante non sia solo ‘fumo’. Perché le condizioni in cui siamo oggi sono talmente lontane dal sogno di una vita tranquilla e serena, che le persone preferiscono chiudersi in loro stessi pur di non pensare come il lavoro di una vita intera sia stato solamente un grandissimo fallimento. Il nuovo premier deve decidersi a fare i conti con quel ‘menefreghismo’ che ha contribuito alla nostra decadenza. Anche se, giunti a questo punto, l’Italia ha ugualmente qualcosa da dire: “Egregio presidente del Consiglio, lei ha commesso solamente un errore: la fiducia doveva chiederla al popolo italiano”.