Ilaria CordìUno spettacolo teatrale ha colpito particolarmente la nostra attenzione in quest’ultimo periodo: si tratta di ‘Torre d’avorio’, in scena in questi giorni presso il Teatro Stabile di Torino e prossimamente in cartellone al ‘Piccolo’ Strehler di Milano. Riadattato, prodotto, diretto e interpretato da Luca Zingaretti, questo lavoro sta riscuotendo un successo di pubblico e critica decisamente importante, poiché affronta il complesso tema dell’autonomia e della libertà di artisti e intellettuali di fronte ai regimi autoritari e antidemocratici. La rappresentazione pone al pubblico un argomento a nostro avviso molto attuale, un dibattito ‘sotterraneo’ che regolarmente si ripropone negli ambienti intellettuali più elevati, confrontando due posizioni ben distinte: quella tesa a giustificare un determinato e, a volte, necessario ‘camaleontismo’ dell’artista e che considera la cultura un universo ‘neutrale’, totalmente indipendente rispetto a ciò accade nella società, in contrapposizione a chi ritiene che anche gli artisti debbano ‘prendere posizione’ rispetto agli avvenimenti della Storia, assumendosi le proprie responsabilità personali e professionali. In ‘Torre d’avorio’, Luca Zingaretti veste i ‘panni’ del maggiore americano Arnold, il quale si confronta con il celebre compositore tedesco Willhelm Furthwangler, interpretato da Massimo De Francovich. Il grande direttore d’orchestra si difende strenuamente dall’accusa di complicità con il nazismo: egli non è mai stato un nazionalsocialista e non ha mai nascosto di detestare le politiche del Terzo Reich. Tuttavia, durante il difficile periodo dell’esodo di tanti intellettuali che avevano preferito trasferirsi all’estero anziché lavorare in condizioni opprimenti, aveva deciso di rimanere in patria, nella convinzione di poter mantenere accesa la ‘fiaccola’ dell’arte poiché essa, a suo parere, non possiede connotazione politica alcuna. Di questo e di altro abbiamo dunque parlato con l’attrice Caterina Gramaglia, che in ‘Torre d’avorio’ interpreta una parte significativa, portatrice di un punto di vista particolare: quello della figlia di un ufficiale nazista che aveva partecipato a una ‘congiura’ contro Adolf Hitler.   

Caterina Gramaglia, quali sono le caratteristiche principali di questo spettacolo, ‘Torre d’avorio’, tratto da un testo di Ronald Harwood rivisto, diretto e interpretato da Luca Zingaretti? Quale accoglienza sta incontrando presso il pubblico italiano?
“Lo spettacolo ha già riscosso molto successo e interesse sin dalla stagione scorsa, un po’ per gli argomenti trattati, un po’ per la curiosità di rivedere in teatro un attore come Luca Zingaretti, che affronta un testo, davvero molto complesso, come attore, regista e produttore. Il pubblico, per lo più, arriva già entusiasta oltreché incuriosito, amando molto Luca per le sue varie interpretazioni, soprattutto del commissario Montalbano. Essendo un testo complesso e talvolta ‘teso’, Luca, come regista, è molto pignolo ed esigente”.

Quest’opera fa riferimento a una determinata condizione di isolamento degli artisti rispetto al mondo esterno, soprattutto nei confronti di un regime politico autoritario: è dunque la difesa della libertà di espressione culturale, il tema centrale di questo testo?
“Il titolo dell’opera inglese è ‘Taking side’, che tradotto in italiano significa: ‘Prendere posizione’. La vicenda è ambientata nella Berlino del 1946, dove i due protagonisti, il maggiore Arnold (americano) e il famoso direttore d’orchestra tanto amato da Adolf Hitler, Willhelm Furthwangler (Massimo De Francovich) si affrontano su questo ‘ring’ (l’ufficio del primo) affermando e sostenendo le loro opinioni. Quest’ultimo verrà accusato di aver appoggiato e di aver collaborato con il nazismo e il maggiore cercherà qualsiasi prova per confermare le sue convinzioni, riscontrando la colpevolezza del grande direttore d’orchestra. Effettivamente, il testo riesce bene a creare una spaccatura tra il  pubblico: chi si schiera dalla parte del maggiore Arnold, ufficiale americano che ha visto gli orrori del campo di concentramento di Bergen Belsen e Furthwanlger, con il suo amore per la musica. Nello spettacolo ci sono altri personaggi che arrivano nell’ufficio del maggiore Arnold: il violinista Helmuth Rode (Gianluigi Fogacci) e Tamara Sacks (Francesca Ciocchetti), i quali portano delle notizie in più rendendo l’attesa del direttore d’orchestra ancora più interessante. Inoltre, ci sono due personaggi sempre presenti sulla scena: l’ufficiale di origini ebree David Wills (Paolo Briguglia) ed Emmi Straube, la giovane segretaria del maggiore, da me interpretata, figlia di un colonnello che partecipò alla congiura contro Hitler. Ogni personaggio, nella sua diversità, porta la propria verità”.

Ma isolarsi in una cosiddetta ‘torre d’avorio’ non risulta addirittura necessario, in certi casi? Oppure, l’artista è sempre tenuto a prendere posizione rispetto a quanto gli accade intorno?

“E’ difficile da dire. Una frase che dice alla fine Furthwangler è la seguente: “Come potevo sapere? Nessuno sapeva…”. Io non credo sia del tutto vero, perché parlando della nostra condizione attuale, gli ‘artisti’ possono continuare a esercitare il loro mestiere sebbene sia difficile non sapere ciò che accade, perché il quotidiano influenza notevolmente il nostro modo di vivere, di sognare, di progettare. E’ difficile non riuscire a vedere il ‘sapere’. Cosa avrei fatto? Andare avanti, cercare, provare, mantenere i miei sogni, non scoraggiarmi e non demordere. Il mondo? È difficile star dietro a tutto, solo la fede ti mette in contatto con il mondo, così come l’arte: dipende se si decide di raccontare qualcosa, o se stessi, o il nulla. Spesso, c’è il nulla. E se c’è il nulla, non credo si possa parlare di arte, poiché l’arte è la vita”.

Come si trova a recitare insieme a Luca Zingaretti, il noto commissario Montalbano: può rivelarci aneddoti e ‘segreti’ accaduti durante le prove?
“Mi trovo bene con Luca e il resto dei miei colleghi. Trovo che Zingaretti sia stato molto coraggioso ad affrontare un testo del genere e a produrselo. Quando abbiamo iniziato le prove eravamo tutti più spaventati: io, che son un tipo abbastanza ansioso, ero angosciata. Ma si sa che, all’inizio, è così. A volte mi sentivo un incrocio tra Benny Hill e Fantozzi”.

La scorsa estate lei è stata la vera rivelazione del Roma Fringe Festival 2013, classificandosi al secondo posto e sfiorando la vittoria con uno spettacolo fresco e originale, intitolato ‘The white room’, da lei scritto, diretto e interpretato: ci racconta le caratteristiche di questo suo lavoro, da molti giudicato divertente e ‘toccante’ allo stesso tempo?
“Parlare di ‘The white room’ mi dà gioia, davvero molta gioia. I temi dello spettacolo sono la solitudine e la follia. Nasce in due periodi diversi della mia vita, ma il comune denominatore è la disoccupazione: stando molto a casa e avendo una cara e simpatica telecamera, nella solitudine della notte mi sono messa a partorire questi video, che sono parte dello spettacolo. I personaggi sono nati tra il giorno e la notte e Gelsomina è nata molto prima di me: mi è semplicemente passata a trovare”.

Intende riproporre ‘The white room’ al pubblico romano? Quando?
“Si: rifarò ‘The white room’ a maggio, dal 6 all’11 al Tor di Nona. Inoltre, essendo arrivata seconda al Roma Fringe Festival, andrò a Stoccolma la prossima estate con la versione tradotta”.

Una domanda personale: il lavoro di attrice è molto difficile perché bisogna viaggiare spesso, per via delle varie tournèe. In che modo cerca di gestire i suoi rapporti familiari?
“Allora, intanto io ho due animali: una gatta, Tipini, che ho lasciato momentaneamente a mia madre e un cane minuscolo, preso lo scorso maggio, Tito Cappero: un cane davvero minuscolo ritrovato in un Spagna tramite una associazione che adesso è diventata Onlus: ‘Confido in te, Spagna’, che cerca di salvare più cani possibili dai ‘canili lagher’ spagnoli. La mia famiglia vive a Cecina e ormai è abituata a vedermi a Natale, Pasqua e per qualche giorno durante l’estate. Io vivo a Roma da molti anni, quindi i miei parenti hanno anche un po’ perso le speranze. Ovviamente, li sento tutti i giorni e sono comunque per me un grande appoggio. Per il resto, ho una vita privata abbastanza incasinata”.

Tanti ragazzi e ragazze vogliono fare gli attori o le attrici, ma per lei il sogno non solo si è realizzato, ma il suo nome circola ormai in molti ambienti per bravura e talento personale: quale consiglio si sentirebbe di dare a coloro che sognano le luci del palcoscenico?
“Sì, devo dire che, con sforzo e coraggio, ho realizzato tanti obiettivi e tanti sogni, ma solo dopo tanti anni di lavoro. Ho lavorato come assistente alla regia in teatro, in radio, ho fatto anche la ‘rumorista’, spettacoli per bambini in cui ero vestita da drago e animato vari animaletti con strilla di bambini esaltati in allegato, oltre al lavoro effettivo di attrice. Pian piano ho iniziato a costruirmi un mio mondo. Devo ringraziare anche delle insegnanti meravigliose, Ilza Prestinari ed Elisabeth Kemp, che mi hanno accompagnato in un viaggio creativo meraviglioso, insieme alla mia cara amica Rosa Morelli. Non credo esistano strade migliori di altre per fare questo lavoro: ci vuole volontà, determinazione, coraggio, nel vero senso del termine. ‘Avere cuore’ è fondamentale: prima di tutto, bisogna capire perché lo si vuol fare questo mestiere. La mia parola chiave è: kokoro”.


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