Antonio Del Pennino, senatore di Forza Italia a Palazzo Madama, ha presentato un proprio disegno di legge in materia di testamento biologico.

Sen. Del Pennino, lei ha presentato una sua proposta sul cosiddetto testamento di vita: può dirci sinteticamente di cosa si tratta e quale tipo di effetti potrebbe produrre sul terreno più propriamente sociale?
“Beh, in merito ai contenuti specifici del disegno di legge vi rimando al mio articolato. Tuttavia, ritengo basilare che si comprenda il fine ultimo, la ragione più importante per cui ho presentato un progetto di legge su questa tematica: impedire che si compiano accanimenti terapeutici nei confronti dei pazienti. Del resto, il principio di autodeterminazione nel campo delle cure mediche e la consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere protagonista delle scelte riguardanti la sua salute, sia nel senso di accettare, sia nel senso di rifiutare l’intervento medico, sono andati progressivamente affermandosi nella cultura della nostra società. Tale principio trova fondamentale riconoscimento al secondo comma dell'articolo 32 della nostra Carta costituzionale, che infatti sancisce espressamente che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".

Ma lei crede che il testamento biologico possa anche riaprire il dibattito sull'eutanasia?
”No, non lo credo: sono due tematiche che devono rimanere ben distinte, a mio parere, pur esistendo delle similitudini legate ad alcuni aspetti tematici”.

A suo parere, una questione del genere implica una riformulazione dell'idea di vita e, insieme, un ripensamento dell'idea e della pratica della medicina?
"Indubbiamente, parlando in generale, la cosa che mi preme sottolineare maggiormente è la necessaria rimarcazione del concetto stesso di dignità umana, evidentemente legata alla situazione disperata del paziente che si trova a soffrire. Ripeto e sottolineo, dunque, il concetto di fondo: ogni persona ha il diritto di essere protagonista delle scelte riguardanti la sua salute".

Come porre, su temi come questo, il rapporto tra scienza e fede e tra etica laica e religiosa?
"La stessa chiesa cattolica ha più volte sottolineato l'importanza di affermare che non è eticamente accettabile infiliggere sofferenze ripetute ad un malato e, come si può evincere, ciò è di conforto nel momento in cui si decide di presentare un disegno di legge che mira, lo ripeto, a tutelare la volontà ultima e imprescindibile di chi soffre”.

Esiste, secondo lei, un confine preciso per quanto che attiene la volontà del singolo paziente?
”Sicuramente possiamo individuare dei limiti oltre i quali non si può eticamente procedere – mi riferisco al medico -, al fine di soddisfare la legittima volontà del paziente. Il Codice di deontologia medica, adottato dalla federazione nazionale dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nella sua ultima versione del 1998 precisa specificamente, peraltro, il diritto del malato a ricevere la più idonea informazione da parte del medico, e afferma che il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi liberamente espressa dal singolo individuo. La stessa giurisprudenza italiana ha avuto modo di chiarire che il rifiuto di un trattamento da parte della persona interessata deve essere rispettato, indipendentemente dalla valutazione dell’operatore sanitario in merito a ciò che è bene per il paziente e precisando, inoltre, che è nel diritto di ciascuno di disporre della propria salute e integrità personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento. In ciò, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, anche lasciando che una malattia segua il suo corso fino alle estreme conseguenze, la qual cosa, naturalmente, non può essere considerata un riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, bensì rappresenta la riaffermazione del principio che la salute non è un bene da imporre coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio altrui, ma fondarsi esclusivamente sulla volontà dell’avente diritto. Detto ciò, appare vieppiù evidente come il consenso o il rifiuto espresso dalla persona, nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia diagnostico che terapeutico, sia un atto di autodeterminazione libero e consapevole solo se la persona riceve un’informazione completa e corretta della diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento concernente la scelta che la persona stessa è chiamata ad effettuare".

Un'ultima domanda: esiste, a suo parere, un confine etico sul terreno della libertà di scienza e di ricerca?
”Senz’altro. Il confine viene superato, e perciò non più tollerato, proprio quando è la dignità stessa a passare in second’ordine. E questo non potremo mai tollerarlo…”.

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