Marta De LucaIl problema della mancanza di autocritica del mondo post comunista non deriva solamente dalla sua cronica ‘allergia’ verso il socialismo democratico e riformista di discendenza ‘turatiana’ e ‘craxiana’, bensì è addebitabile a un grave errore di mentalità che si tramanda da intere generazioni. Se prendiamo, per esempio, la primissima pubblicazione da parte di Einaudi delle ‘Lettere’ e dei ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci emergono una serie di limiti che da sempre contraddistinguono la produzione culturale di una certa borghesia di sinistra. Nella revisione dei ‘Quaderni’, per esempio, qua e là amputati con scarso senso filologico nei suoi riferimenti a personaggi sepolti dalla riprovazione del movimento comunista internazionale come Lev Trockij, si delinea una precisa mentalità censoria, un amore tutto burocratico per le verità di ufficio, un’attrazione per le convenienze momentanee, tutte tendenze che aprono un grave ‘squarcio di verità’ intorno alla malattia da cui è sempre stato affetta la sinistra massimalista italiana. Non ci riferiamo tanto alla ‘doppiezza’ di chi è stato costretto a professare una visione puramente strumentale della democrazia in attesa di un suo superamento rivoluzionario, bensì a un orripilante pedagogismo esasperato, a un’insopportabile ipocrisia prelatizia, a una confusionaria identificazione del Partito con la mano provvidenziale della Storia, alla pretesa di annullamento di ogni individualità e di sacrificio di ogni criticità sull’altare delle obbedienze gerarchiche, a un armamentario culturale tutto incentrato su abiure, rettifiche, compromessi, pentimenti, scomuniche, confessioni in pubblico. Si tratta di limiti dogmatici che derivano da una classe di professionisti della politica la quale, pur credendo sinceramente nella democrazia, si approccia a essa attraverso strumenti etici e concettuali buoni per rinsaldare una dittatura o per combattere una ‘guerra populista’, come se un sistema democratico, le sue procedure elettorali, i suoi stessi problemi di ricambio generazionale o di semplice avvicendamento della classe dirigente potessero essere tenuti a battesimo dal ‘centralismo democratico’.


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Riccardo M. - Padova - Mail - martedi 21 maggio 2013 1.12
Complimenti Marta. Sottoscrivo ogni tua parola e se mi permetti di divulgare questo tuo articolo te ne sarei grato.
ARBOR - MILANO - Mail - domenica 5 maggio 2013 19.2
Mia cara Marta, dalla foto, vedo che la sua giovane età la porta ad una analisi un po' miope e forse semplicistica. Il problema attuale della sinistra non sta nel ritorno ad una politica di stile gramsciano, senz'altro massimalista ma con una ricerca un po' infantile di giustizia sociale, che purtroppo sappiamo come è andata a finire (male!). Il vero problema è quello di tentare una brutta copia del recente socialismo (craxiano) autodefinitosi riformista, ma quali riforme sono riusciti a fare oltre a quelle rivolte al proprio interesse personale? Cioè, noi siamo al potere ed il popolo (bue) ci deve accettare così come siamo, rubiamo ma così fan tutti, ecc. ecc. Ecco dove la classe politica (ma forse buona parte degli Italiani) non è riuscita a rinnovarsi, non capendo che i tempi del CAF erano finiti e che il surrogato bossi-berlusconiano ne era una semplice continuazione. Ci vorrebbe una vera Rivouzione Liberale, i tempi sarebbero maturi, ma manca chi sia in grado di attuarla, Grillo ? Letta ? Non scherziamo.


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