Noi giovani abbiamo bisogno di esempi di onestà, di coerenza, di altruismo. A molti è sempre convenuto ‘spostare’ il problema della bassa qualità della nostra classe dirigente su questioni ‘altre’ e su altri fatti, anziché proporre una nuova ‘cornice’ di regole e comportamenti pratici per cambiare veramente le cose. Ma in gioco entrano non soltanto le responsabilità storiche della nostra classe politica, bensì anche quelle di un’imprenditoria e di un mondo finanziario italiano che spesso, attraverso la politica, ha fatto comodamente i propri ‘affari’. Perché il vero grande problema strutturale del nostro tipo di capitalismo, in realtà è quello di una classe imprenditoriale sostanzialmente sovvenzionata: è facile fare i ‘capitani coraggiosi’ mentre le imprese medio-piccole sono costrette a soffrire sotto il pesantissimo ‘tallone’ di relazioni e intrecci che, alla fin fine, non fanno altro che riproporre l’antico alibi culturale di uno Stato omnicomprensivo, pachidermico, totalmente inefficiente. Perché uno Stato spogliato dei propri mezzi e, in molti casi, persino delle proprie funzioni finisce per forza di cose col rivalersi sui più deboli, oppure a dover gestire l’esistente con fare sonnolento. Austerità, moralità, etica pubblica, ammonimenti sui pericoli incombenti, l’auspicato ritorno a una politica dei valori, di trasparenza e di verità hanno quasi sempre rappresentato una messa in scena stucchevolmente teatrale di moniti inutili, promesse da ‘marinai’. E’ ormai giunto il momento di rendersi conto che la ricerca della verità può giungere a riscontri inaspettati, soprattutto allorquando la cultura complessiva di una società riesce ad affrancarsi dai pregiudizi decidendosi a modificare il sistema stesso delle proprie regole, al fine di voltare radicalmente pagina rispetto a un corporativismo ‘dissimulatorio’, superato dalla Storia.