Andrea GiuliaIl totalitarismo nasce ogni qual volta un capo carismatico si mette direttamente in contatto con milioni di persone, creando un vero e proprio meccanismo di immedesimazione. I singoli si immedesimano nel capo e si sentono parte di un ‘tutto’ che il leader rappresenta. Questi possono apparire aspetti puramente tecnico-formali, ma il problema più profondo è quello della mobilitazione delle masse. La prima guerra mondiale, per esempio, fu un fenomeno tragico, che mobilitò milioni di uomini. E fu un conflitto devastante, durato per 4 lunghi anni nelle trincee. Tuttavia, molte persone si ritrovarono letteralmente strappate dal proprio privato, completamente coinvolte nella Storia. E le grandi masse emersero come protagoniste. Il fenomeno ha radici remote, come quelle dell'industrializzazione, o della nascita del proletariato urbano: milioni di individui strappati dal tessuto più antico, dalla società agricola, che si identificavano attorno al campanile dei loro piccoli comuni, all’improvviso si ritrovano coinvolti in una grande realtà collettiva. Quando questi milioni di individui si ritrovarono, nel giro di pochi anni, prive delle loro identità ‘primarie’ e coinvolti in grandi vicende collettive fu possibile la nascita dell'appello del capo, l'appello carismatico, che rese immediate le premesse del totalitarismo. In Italia, a prima vista non sembrano esserci le premesse per un regime totalitario in un Paese in cui esiste un pluralismo politico perfino esasperato. C'è una completa libertà di stampa, nonostante vi siano forme di monopolio, ossia d’intervento massiccio da parte della televisione sull'opinione pubblica. Forme che vanno in determinate direzioni o in altre. Ma esiste la possibilità del libero dissenso: finché questo esiste, la libertà di pensiero è tutelata. E’ fuor di discussione che si debba sempre vigilare, perché la tentazione di rinunciare a pensare con la propria testa e di acquietarsi sotto il giudizio dell’uomo ‘solo al comando’ o nell'appello che viene trasmesso da una televisione è sempre presente in noi: è la tipica tentazione della pigrizia intellettuale. Quindi, bisogna sempre esser pronti a reagire a queste tentazioni totalitarie. Il liberalismo, in quanto ideale portato avanti da una classe privilegiata, da una élite, da una classe ristretta, ha rappresentato, nel XIX secolo, il retroterra culturale in cui si è formata la borghesia cittadina e industriale. Ma esso è cresciuto come un qualcosa di fragile, rispetto ai grandi movimenti di massa sorti successivamente, che finirono col travolgere i valori del liberalismo. In definitiva, oggi, i principi del liberalismo e della grande tradizione liberaldemocratica risultano essere quelli vincenti. Anche i Partiti che, storicamente, li hanno osteggiati, oggi dichiarano di volersi riferire a questi valori, di volerli rispettare. I valori della liberaldemocrazia, che sono quelli che ispirano - nel nostro Paese, non in tutto il mondo, purtroppo - la vita pubblica e la formazione delle sue regole. Ma il totalitarismo può sia utilizzare, cioè sfruttare, sia distruggere una cultura. In genere, i totalitarismi, nel momento stesso in cui nascono, tendono a utilizzare i tratti caratteristici di una cultura e a esaltarli, al fine di ottenere consenso. Ma possono arrivare anche alla oppressione dei tratti caratteristici di una cultura. La storia dei totalitarismi, in tal senso, è molto ampia e ricca di esempi. Ed è storicamente esistito un preciso rapporto fra regime totalitario e religione, o fede religiosa di un popolo, un vero e proprio ‘rapporto dialettico’. Il totalitarismo, in molti Paesi e in molti regimi, ha tentato più volte l'accordo con i rappresentanti di una, o più, fedi religiose, per ottenere il consenso da parte di una confessione. Ma laddove si sono instaurati elementi di conflitto, il totalitarismo ha finito per opprimere anche la libertà di culto. E tutto questo in passato si è verificato sia contro le religioni, sia nei riguardi di altri elementi culturali profondi, come, per esempio, il linguaggio. Quest’utlimo, in molti casi, viene utilizzato e, al tempo stesso, oppresso. Tutti i mali che, storicamente, noi registriamo nei totalitarismi, l'oppressione, la mancanza di dissenso, la persecuzione di minoranze che non risultano inquadrate nello schema del regime o nei suoi ideali sono risultati, al contempo, degli insopportabili inconvenienti per le dottrine totalitarie. Se al centro della vita sociale deve esserci, come stabilisce la nostra Costituzione, il principio della centralità e della dignità della persona umana - sebbene aperta ai rapporti sociali - e se questo deve essere il principio ispiratore che rende possibile la convivenza pacifica, il rispetto fra i diversi, ciò avviene in quanto la società umana, la Storia umana stessa è stata fatta da individui diversi, che non sono tutti uguali tra loro. I totalitarismi risultano essere completamente incompatibili con questo principio. Quindi, non possono esserci totalitarismi ‘buoni’: il totalitarismo è, per sua stessa natura, negatore del valore della dignità della persona umana, del valore della libertà del singolo, quindi della possibilità della diversità, della pluralità. Nel nostro Paese i giovani vengono ormai educati a considerare tutti questi valori come irrinunciabili. Ma noi italiani abbiamo conosciuto il totalitarismo fascista, che è stato un totalitarismo a scartamento ridotto rispetto al totalitarismo nazista, sicuramente il più feroce mai conosciuto. Ma è anche esistito un totalitarismo di sinistra, realizzato dal comunismo stalinista, che ha contraddetto alla base gli ideali stessi di libertà ed eguaglianza da cui discendeva. Ciò ci permette, oggi, di introdurre la necessità di una distinzione tra regimi di varia natura. In ogni caso, i totalitarismi, di destra o di sinistra che siano, dal punto di vista della struttura centralizzata di cui si avvalgono sono tutti molto simili, così come dal punto di vista dell’organizzazione della società, poiché tendono a mobilitare le masse e a reprimere ogni dissenso. Questi fenomeni tendono a rendere analoghi, simili tra loro, tutti i totalitarismi. Anche se i fini o gli obiettivi che i distinti totalitarismi si propongono possono essere diversi. I fini che fascismo e nazismo si sono proposti non erano gli stessi del comunismo. Il comunismo nacque sull'onda della grande utopia dell'uguaglianza, dell’emancipazione totale dell'uomo basata sul presupposto che il regime di produzione capitalistico fosse quello che aveva reso impossibile la sua piena liberazione. Quindi, il comunismo ha sempre avuto al proprio interno, per lo meno ai suoi inizi, questa potente carica utopica, che è stata quella che poi, in qualche modo, ha reso spiegabile un fenomeno altrimenti inspiegabile: la durata di questa ideologia lungo tutto il corso del XX secolo e il coinvolgimento di centinaia di milioni, anzi di miliardi, di uomini nella sua proliferazione storica. Il comunismo, inoltre, è stata l'unica forma di totalitarismo ‘crollata’ senza troppa violenza, perché il 1989 ha visto la sua caduta dall'interno, dalle sue stesse strutture di regime. Quindi, tra i distinti totalitarismi del passato vi è stata una forte analogia nei mezzi, negli strumenti per il perseguimento del potere, ma una profonda diversità nei fini. La qual cosa, oggi, non ci permette di dire, come spesso si tende a fare: "Tutti i totalitarismi sono uguali storicamente". Incontestabile resta il fatto che siano stati tutti dei regimi negatori della libertà. Ma va anche sottolineato come essi abbiano perseguito obiettivi storici profondamente diversi. Scopi che oggi ci obbligano a fornire giudizi più articolati. Anche del comunismo non è più possibile proporre nessuna linea di difesa. Tuttavia, va anche detto che il comunismo è riuscito a mobilitare speranze verso il futuro, mentre il nazismo è sempre stato rivolto ai tipici archetipi della superiorità della ‘razza ariana’ e non aveva nessun tipo di apertura verso il futuro dell'umanità intera, essendo rivolti a un passato mitologico. Il totalitarismo, infine, ha sempre bisogno della dittatura. E cosa s’intende per dittatura? Semplicemente, il potere. Il potere è necessario alla società, poiché essa non può vivere senza un'autorità che eserciti una qualche forma di potere. I Romani definivano la dittatura una forma di potere pieno, eccezionale, tuttavia riservata a momenti di emergenza. Viceversa, nei regimi totalitari la dittatura diviene permanente. Nell'ideologia marxista, la dittatura del proletariato avrebbe dovuto essere un momento di passaggio verso la piena liberazione delle masse dalla schiavitù del plusvalore, ma di fatto la dittatura del Partito comunista è sempre stabile, permanente. Quindi, c'è totalitarismo allorquando c’è una gestione dittatoriale del potere. Senza i mass media, molte cose sarebbero state impossibili ai totalitarismi storici, anche perché questi, in passato, erano davvero rudimentali rispetto a quelli disponibili oggi. La televisione non esisteva ancora, poiché come fenomeno di massa è stata una novità assolutamente postbellica, successiva al secondo conflitto mondiale. I mass media sono stati la condizione stessa per la nascita dei totalitarismi e la loro conservazione. E da questi sono stati ampiamente utilizzati. Possiamo addirittura asserire che i regimi totalitari abbiano fatto progredire i mass media. Ma essi contengono in sé una minaccia totalitaria, in quanto tendono al consolidamento dell’omologazione del giudizio e dei gusti. Lo psicologo Erich Fromm, nell’opera ‘Fuga dalla libertà’ svolse un'attenta analisi psicoanalitica del nazismo del Mein Kampf, il libro che Adolf Hitler scrisse in carcere dopo il tentativo fallito di un golpe a Monaco di Baviera, svelando i meccanismi sado-masochistici che caratterizzano il rapporto del capo con le masse. E chiuse la sua analisi con un capitolo inquietante rivolto a noi che viviamo nella cosiddetta società dei consumi, avvertendo: "State attenti, perché la società del benessere e la società dei consumi possono portare a forme di omologazione, di irregimentazione collettiva dal punto di vista dei gusti, della mentalità", che in qualche modo tendono a generare, anche se in maniera meno violenta, un fenomeno analogo a quello provocato dai totalitarismi: la fuga dalla libertà, il rifiuto della responsabilità personale, il livellamento massiccio, il conformismo. Questo è il rischio concreto. E i mezzi di comunicazione di massa sono la pre-condizione perché i totalitarismi nascano e, come strumenti di diffusione delle informazioni, contengano in sé una minaccia al libero pensiero. E’ importante seguire tanti programmi che oggi si producono, ma non si deve rinunciare mai a leggere e a pensare da soli. La natura del pensiero singolo, dell'incontro con un unico autore su di una pagina scritta, ha un'importanza fondamentale, senza la quale la libertà di pensiero non è pienamente garantita. Infine, non c'è totalitarismo senza repressione, perché il totalitarismo deve conquistarsi il consenso. Talvolta lo conquista liberamente: Hitler andò al potere attraverso una votazione massiccia, di tipo quasi plebiscitario. Mussolini, ha goduto del pieno consenso degli italiani. Non possiamo immaginare questi regimi come puramente repressivi. Ma questo consenso venne conservato attraverso la repressione violenta del dissenso. Ogni voce che giunse a esprimere dissenso venne repressa attraverso le tipiche forme della dittatura. Queste genere di repressione rappresentano le forme estreme di oppressione della libertà di coscienza dell'individuo in tutti i regimi, a diversi livelli e con diversa crudeltà. Quindi, possiamo concludere che non esiste totalitarismo senza repressione. I regimi totalitari hanno sempre avuto bisogno di un'organizzazione molto complessa, molto articolata. Ma le burocrazie che si sono formate prima dell'affermazione dei regimi totalitari talvolta sono state, o possono essere, un elemento frenante all’invadenza dei regimi totalitari. Questo lo si è visto benissimo in Italia, in cui esiste una burocrazia, una mentalità, una cultura segnata dall’esperienza del liberalismo monarchico prefascista. Questa burocrazia, talvolta, ha teso a frenare le spinte proprie del totalitarismo. Esistono una serie di documenti storici che convalidano queste ipotesi: forme di elastica resistenza - certamente non di aperta opposizione - della burocrazia alle pretese e alle contorte logiche dei regimi totalitari. Ciò è quanto si verificò in Italia, per esempio, dopo l'introduzione delle famigerate leggi razziali del 1938, che consideravano gli ebrei "non cittadini" escludendoli, in qualche modo, dai diritti di cittadinanza. Questo è un altro aspetto importante del totalitarismo: per riuscire a mobilitare il popolo, esso ha bisogno di individuare un nemico. Non c'è mobilitazione totale, mobilitazione al combattimento, se non c'è l'individuazione di un nemico. E quando il nemico non c'è realmente, lo si crea artificialmente, lo si ‘inventa’. Fu così che nacque la persecuzione degli ebrei, la ‘shoah’, l'olocausto. Pertanto, la ‘pulizia etnica’ non è un fenomeno recente avvenuto durante il processo di disgregazione dell’ex Jugoslavia. E anche nel nostro Paese si è cercato di diffondere stati d'animo tesi a considerare l'identità etnica in forme esasperate, esclusive, nel rapporto con il prossimo. Ciò dimostra come certi terribili scenari come quelli della distruzione del popolo ebreo, della shoah, dello sterminio di un'intera razza, siano una minaccia costante, perché nel fondo della natura umana c’è la tentazione costante del rifiuto del diverso. Non si tratta di un qualcosa da guardare come una terribile curiosità del passato, ma di un insieme di elementi da ricordare costantemente, affinché i mostri generati dal totalitarismo non tornino più. Perché quei ‘mostri’ possono sempre ritornare. Il senso della Storia non è quello di conservare la memoria per una forma di compianto collettivo di chi ha sofferto o di chi è morto, ma è quello di conservare la memoria perché non si cada mai più nell'immancabile determinismo alla ripetizione di ciò che è già accaduto. Il determinismo alla ripetizione ha le sue radici nell'animo umano stesso. E l'animo umano del passato è ancora e sempre il nostro animo umano, con le stesse tentazioni e gli stessi rischi. Il potere della Chiesa Cattolica è ancora grande e rende importante questa istituzione in tutto il mondo. Ma i cosiddetti processi di ‘secolarizzazione’ hanno diminuito l'influenza della Chiesa nella vita moderna. All'indomani del crollo del fascismo vi fu una sostituzione spontanea, in Italia: si passò dal carisma di Mussolini all'immagine carismatica del Papa. E il tutto avvenne spontaneamente, quasi come in una sorta di ‘riconversione’. Oggi, tutta questa tendenza all’esaltazione carismatica di un capo spirituale quale è il Papa è divenuto un qualcosa di profondamente diverso, un fenomeno ‘diminuito’, testimoniato dalla fine stessa dell'unità politica dei cattolici. Non c'è più un Partito che intrattiene un rapporto privilegiato con la Chiesa cattolica, bensì una situazione più complessa: forme di totalitarismo intensamente legate alla religione cattolica. C'è, in tutto questo, un aspetto interessante: i totalitarismi, i veri totalitarismi, possono realizzare delle autentiche forme ‘mondane’ di religione, trasferendo il senso e il problema dell'assoluto dal piano trascendente, che caratterizza il fenomeno religioso (il fenomeno religioso nasce dalle domande sul profondo senso della vita, sul suo valore, sul senso del suo mistero, sull'al di là, sul problema della morte) al piano secolare e terreno. Quando tutto questo viene trasferito, ‘mondanizzato’, ecco che abbiamo le cosiddette religioni ‘secolari’. La religione non è più, dunque, un fenomeno ‘verticale’, rivolto dall'uomo verso il trascendente, bensì un fenomeno ‘orizzontale’, che tende a scendere a compromessi con una concezione totalitaria della vita e dei rapporti umani, che può impedire al singolo individuo di riuscire a comprendere gli strumenti della modernità e della democrazia laica, giudicati, a prima vista, alquanto deboli, fragili, incapaci di decidere o di reagire nell’immediato. Ma la democrazia solo apparentemente è fragile. Al contrario, proprio la democrazia laica è l’antidoto migliore e più autentico contro i totalitarismi poiché, come dimostrato dalla Storia, lentamente ma inesorabilmente, essa li supera fino a sconfiggerli, rendendoli impraticabili.


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