Giuseppe OrsiniI ‘pronto soccorso’, di Roma e non solo, sono all’ordine del giorno in televisione e sulla stampa. Caso limite: il 9 aprile scorso, una signora napoletana è deceduta proprio in un pronto soccorso sei ore dopo il ricovero, senza che nessuno se ne occupasse. E non è l’unico caso, purtroppo. A novembre 2011, un elettrocardiogramma rivelò che avevo il battito cardiaco a 120/150 pulsazioni al minuto. L’esame del sangue rilevò inoltre un Inr basso. Insomma, pronto per ictus, infarto e simili. Consiglio: immediato ricovero al pronto soccorso. Venerdì 25 novembre, alle 19.30, mi reco al pronto soccorso più vicino: accettazione con codice giallo (situazione di urgenza indifferibile). Insomma, seriamente malato al cuore. Vengo messo su una ‘barella/tavolaccio’, con ipodermoclisi e collegamento a monitor. Segue notte insonne per barella e continuo arrivo di persone da ricoverare per alcool, incidenti, risse e così via. Insomma, varia umanità in un pronto soccorso che funge da punto di riferimento per un’area con almeno 250 mila abitanti. Sul monitor vedo i battiti persistere sulle 120 pulsazioni al minuto. Mia moglie è rimasta in sala d’attesa del pronto soccorso fino all’una di notte: informazioni su di me? Zero. Al sabato (dopo 16 ore e con mia moglie fuori e disinformata) chiedo perché non mi portino in cardiologia. Risposta: “Non c’è posto. Abbiamo inviato fax ad altri ospedali della capitale per chiedere la disponibilità di un letto. Risposte: nessuna”. A stento comunico con mia moglie, in evidenti ambasce. Sabato sera: prosegue l’ipodermoclisi. Altra notte insonne per giaciglio, spossatezza, arrivi di ogni tipo, confusione, preoccupazione per la mia salute (battiti sempre elevatissimi) e pensiero rivolto ai miei, disinformati di tutto o quasi: solo brevissimi contatti a distanza di ore. Dimenticavo: al pronto soccorso è vietato l’uso del telefonino. In nottata finisce il liquido in infusione (Isoptin?): sospensione del trattamento. Alle 9 della mattina successiva chiedo nuovamente al medico di turno quando mi toglieranno dal duro giaciglio e mi sistemeranno in cardiologia. Stessa risposta del giorno precedente: “Posti zero e fax ad altri ospedali di Roma”. Rintracciata mia moglie in sala di attesa, decidiamo di andarcene via subito, assicurando che mi recherò presso un altro ospedale. Risposta: “Non ci sono posti”. Ribadisco: “So dove andare”. Chiamo il medico di guardia del ‘Rome American Hospital’: hanno disponibilità di camera. Metto in contatto le due dottoresse. Bene: posso andare previa firma liberatoria per lo ‘scarico’ di responsabilità del personale del pronto soccorso. Alle 9.30, dopo ben 38 ore di calvario e con i battiti ancora a 120/minuto circa, fuggo da quell’incubo. Moglie e figlio mi accompagnano al ‘Rah’. Vi giungo alle 10 di domenica mattina, 27 novembre. Dopo accettazione, immediata sistemazione in una camera singola. Preciso: il ricovero al ‘Rah’ è a carico di cliente o assicurazione. Segue versamento di assegno di alcune migliaia di euro come cauzione, indicazione dell’assicurazione convenzionata (Fasdac – Fondo di assistenza sanitaria per i dirigenti di aziende commerciali) e immediato inizio della cura in una camera completa di televisione, telefono fisso diretto con l’esterno, tavolo per mangiare o scrivere, collegamento internet per personal computer, bagno e divano per eventuale parentela o assistenza. Pasti: menù a scelta, compatibile con malattia e cure: insomma, un albergo a 4 stelle. Seguono analisi e controlli di ogni tipo, un paio di visite al giorno da parte del primario e dei suoi assistenti. Dimissioni: il 3 dicembre 2011, completamente rimesso in sesto (70 bpm circa), con consigli, cure programmate, foglio per il medico curante, medicinali per un paio di giorni. E cartella clinica pronta in pochi giorni. Formalità di uscita: restituzione dell’assegno in deposito, pagamento (con carta di credito) della mia quota parte e via a casa con figlio e nipote. Il problema del pronto soccorso è talmente vivo che in questo momento, proprio mentre sto redigendo questo articolo, leggo sulla prima pagina del giornale locale un articolo titolato:  “Percorso veloce: codici bianchi e verdi”. Sommario del servizio: a un passo dall’estate del presumibile sovraffollamento arriva il progetto sperimentale ‘Percorso veloce: codici bianchi e verdi – Ambulatori Med, percorso alternativo al pronto soccorso’, presentato ieri dal Governatore del Lazio, Renata Polverini”. In presenza di pensioni bloccate, disoccupazione, mancanza di sviluppo, introduzione della (o delle?) ‘Imu’ e ai rincari di carburante, perché i nostri ‘beneamati bocconiani’ (Mario Monti e colleghi) eletti da Angela Merkel, insediati da Giorgio Napolitano e i politici da loro sostituiti non pensano di recuperare miliardi di euro dalla ‘malasanità’ costosissima (totale 106,650 miliardi di euro nel 2008, fonte: Ministero della Salute - Sistema Informativo Sanitario)? Nel 2008 i ricoveri sono stati 12.128.678, con una degenza media di 6,8 giorni. Una sola giornata di degenza costa 1.453 euro in Basilicata, 1.018 euro nelle Marche, 375 in Sicilia: perché tali scostamenti? In media, presumiamo circa 700 euro al giorno. Per non parlare delle differenze di costo delle attrezzature e del numero e del costo unitario di addetti (dati: mednat.org). Il sabato e la domenica gli ospedali sospendono le attività non urgenti: restano i costi di ricovero. Se si lavorasse come tutti i giorni, la degenza media scenderebbe a 5 giorni: posti letto liberi e risparmio di 20 miliardi di euro l’anno all’incirca. In pratica, un’abbondante Imu… Quanto saranno costate le mie 38 ore di sosta inutile, anzi dannosa per la mia salute, al pronto soccorso? 3/4 mila euro? Moltiplichiamoli per centinaia di migliaia, se non milioni, di casi analoghi: qual è il ‘costo inutile’ per noi cittadini/contribuenti? Il mio ricovero al ‘Rah’ obiettivamente è costato. Ma è stato a carico mio (cittadino supertassato) e del Fasdac, cioè finanziato dai dirigenti in servizio e in pensione delle aziende commerciali, dunque a costo zero per il servizio sanitario nazionale. Ma, soprattutto, è servito: mi hanno rimesso praticamente ‘a nuovo’ sulla soglia dei 75 anni. Grazie a Dio.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio