Di recente, è uscito nelle librerie un lavoro di
Manfredi Giffone, disegnato da
Fabrizio Longo e Alessandro Parodi per
Einaudi, dal titolo:
“Un fatto umano – Storia del pool antimafia“, un fumetto che racconta la lotta di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino contro la criminalità organizzata. Si tratta di una storia a fumetti sul pool antimafia di Palermo, che racconta il percorso della mafia dalla fine degli anni ‘70 agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso. Un progetto ambizioso quanto originale, che ci ha incuriositi soprattutto per il mezzo utilizzato: la
‘graphic novel’, un modo a prima vista inconsueto per avvicinare tutti, anche i giovanissimi, a questo ‘fatto’ tanto umano quanto tragico e complesso. Quasi quattrocento tavole a fumetti che ricostruiscono dettagliatamente la Sicilia e l’Italia in trent’anni di storia, con uomini di mafia, commissari, giudici, politici, bancari, giornalisti, personaggi dello spettacolo e d’affari che entrarono in contatto diretto o indiretto con Cosa nostra. Una lunga storia con un elaborato intreccio di vicende raccontate dal cantore
Mimmo Cuticchio (personaggio realmente esistente) che inscena uno spettacolo inusuale nel teatro dell’Opera dei Pupi. Ne risulta un libro curato fin nei minimi dettagli. La società RAM di Bologna, per esempio, ha curato la digitalizzazione di due font disegnati a mano dalla calligrafa genovese
Francesca Biasetton. La digitalizzazione è stata eseguita da
Marco Ficarra e Stefania Potito. Nelle immagini del fumetto si possono vedere come i due font vengono utilizzati all’interno della trama: il primo è usato come carattere principale della storia, mentre il secondo per differenziare la voce narrante del 'cuntastorie'. Ma come è nata l’idea di trasporre una delle piaghe più ‘dolorose’ del nostro Paese in fumetto? Ne abbiamo parlato con l’autore,
Manfredi Giffone, scrittore torinese che, in passato, ha collaborato con la casa editrice
Castelvecchi e che ha scritto alcuni racconti per la rivista
‘Toilet’.Manfredi Giffone, lei ha scritto questo libro, con Fabrizio Longo e Alessandro Parodi, come un “atto d'amore” e ha affermato che la graphic novel è “a metà strada fra parola scritta e cinema, dunque permette una narrazione più approfondita di un film e, allo stesso tempo, più scorrevole di un saggio”: può spiegarci meglio queste sue affermazioni?“La lavorazione di questo libro è stata piuttosto lunga e complessa. Inizialmente, pensavo che me la sarei ‘cavata’ scrivendo una storia di 160 pagine, ma più studiavo l’argomento e più cresceva in me il desiderio e l'ambizione di renderlo comprensibile anche a un ipotetico lettore che non avesse la minima idea di cosa sia la mafia e di chi siano stati Falcone e Borsellino. Un fumetto può essere uno strumento di divulgazione molto efficace perché, pur narrando per immagini, ha in sé le potenzialità di approfondimento di un libro. Tutto questo mi ha portato a realizzare un volume di oltre 300 pagine - senza contare una lunga bibliografia - che mi ha impegnato per circa sei, sette anni. Se io e i disegnatori, Fabrizio Longo e Alessandro Parodi, non fossimo stati tutti sorretti da una grande passione, una sorta di innamoramento, non saremmo mai riusciti ad arrivare alla fine del libro”.
Il suo libro racconta le vicende della mafia dal 1978, con il rapimento di Moro, fino agli anni ‘90 del secolo scorso, con la strage di via D’Amelio: quanto è cambiata la mafia, oggi?“La mafia è cambiata notevolmente. Già nel 1991, Falcone ragionava come, “nell’età dell'elettronica”, bastasse un telex o fax per far svanire nel nulla milioni di dollari. E oggi abbiamo internet e viviamo nella globalizzazione. Le cosche, le ‘ndriine e i clan camorristici, come ha raccontato Saviano, iniziano a somigliare a delle ‘holding’ con interessi internazionali, senza per questo rinunciare al controllo del territorio manu militari. Cosa Nostra e le altre organizzazioni mafiose, pur restando sempre identificabili e con tratti costanti, sono comunque in continua evoluzione. Come ebbe a dichiarare il giudice Cesare Terranova, nel 1979: “La mafia, come fenomeno delinquenziale, come costume, è una ed è sempre la stessa, non muta. Quello che cambia sono i metodi, l’inserimento in una certa realtà sociale ed economica. Potremmo dire che si muove secondo le esigenze del momento”.
Ma se “la mafia è un fatto umano”, essa avrà davvero una fine, come affermava Giovanni Falcone? “Senz’altro. Per restare in ambito fumettistico e letterario, Doc Manhattan, il personaggio del celebre fumetto ‘Watchmen’ diceva: “Niente ha mai fine”. E con questa citazione si conclude anche ‘La breve favolosa vita di Oscar Wao’ di Junot Diaz, vincitore di un Pulitzer nel 2008. Ma i “fatti umani”, invece, qualunque sia la loro portata o natura, hanno sempre una fine. La mafia non è un cromosoma del nostro Dna nazionale, né uno stigma che ci dobbiamo portare addosso per sempre: è un fatto inquadrabile storicamente, con un inizio e uno sviluppo preciso. Resta da vedere quando e come finirà”.
Può esistere la mafia senza la connivenza dello Stato?“Connivenza è un termine un po’ forte e, tutto sommato, riduce una situazione complessa e sfumata in termini forse troppo semplici. Piuttosto, io direi che senza alcuni punti di ‘contatto’ o di ‘convergenza’ fra elementi dell’apparato statale e del sistema mafioso, la criminalità organizzata continuerebbe a esisterebbe, forse in altre forme, ma sarebbe contenuta entro limiti fisiologici e, soprattutto, non avrebbe avuto una storia centenaria, che ha permesso il fiorire di ben tre organizzazioni criminali italiane estremamente potenti e radicate nel territorio”.
Cosa pensa del recente arresto del superboss casalese Michele Zagarìa: lo Stato è a buon punto nella lotta contro la mafia e la camorra? “Penso sia un segnale molto positivo, che mi ha portato alla mente l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006, all’indomani dei risultati elettorali. Il rischio maggiore che si può correre, a fronte di un arresto di una ‘persona-chiave’ per le organizzazioni criminali, è abbassare nel breve termine l’attenzione sul fenomeno mafioso. Per quanto un’organizzazione possa essere verticistica o piramidale, non basta togliere un pezzo dalla ‘scacchiera’, perché questo non è un genere di partita che si può chiudere con lo ‘scacco al re’. Bisogna continuare a essere vigili e sensibili al problema”.
Secondo lei, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati due grandi eroi ‘laici’ oppure due servitori dello Stato che, più semplicemente, hanno fatto il loro dovere?“Personalmente, guardo con prudenza la parola ‘eroe’, perché credo possa generare un senso di distacco pressoché incolmabile fra le persone - Falcone e Borsellino in questo caso - e noi. E questo è un ottimo pretesto per ‘delegare’ all’eroe di turno ogni forma di impegno, un po’come votarsi a un santo, magari allo stesso tempo tributandogli riconoscimenti e gratitudine rituali, dovuti, ma solo negli anniversari. Allo stesso tempo, non si può neanche ritenere che Falcone, Borsellino e tutte le persone che sono state uccise svolgendo il proprio lavoro e cercando di contrastare le mafia e il malaffare stessero solo facendo il loro dovere. Direi che sono stati uomini che hanno fatto delle scelte e le hanno portate avanti con responsabilità, consapevolmente, tentando di fare del loro meglio con i mezzi e le risorse di cui potevano disporre”.
E qual è il suo giudizio nei riguardi dello scrittore Roberto Saviano?“Penso che abbia la grande capacità di arrivare dritto al cuore del problema, un notevole talento nel comunicare e rendere ampiamente comprensibili argomenti tanto delicati e complessi, senza scadere nella retorica. Inoltre, col tempo è riuscito a evitare di rimanere schiacciato nell’icona antimafia. Saviano ha avuto la forza di non adagiarsi sugli allori e quello che dice è spesso uno spunto di riflessione che proietta in avanti: attendo con interesse e curiosità il suo secondo romanzo”.
(intervista tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)