“È un grande successo dell’Italia nel riaffermare il rispetto delle tradizioni cristiane e l’identità culturale del Paese”. Così il ministro Gelmini ha commentato la decisione, presa in questi ultimi giorni dalla Corte di giustizia di Strasburgo, di ammettere il ricorso promosso dal Governo italiano alla sentenza di qualche mese fa della medesima Corte che bocciava l’esposizione del crocifisso nelle nostre aule scolastiche nazionali. “Non ho mai avuto dubbi sul fatto che la Corte avrebbe accolto il ricorso, perché la laicità nelle istituzioni non può certo significare espellere a forza i simboli universali come il crocifisso”. Così, invece, si è espresso il presidente della Camera, Gianfranco Fini. I cinque giudici della Corte di Strasburgo, chiamati a valutare l’ammissibilità del ricorso promosso dal Governo italiano, hanno deciso di portare davanti al grado superiore dello stesso organismo la richiesta del nostro Governo nazionale di dibattere nuovamente la precedente sentenza. La decisione, probabilmente, rende perplessi tutti coloro che avevano visto nella bocciatura italiana un primo passo verso una laicizzazione de facto delle strutture della pubblica amministrazione. Mentre dal fronte opposto si sono scatenati gli esulti e le speranze e, soprattutto, la visione, probabilmente illusoria, di riconoscere in questa decisione della Corte la sentenza definitiva. Facciamo un passo indietro e rileggiamo la motivazione con la quale Strasburgo aveva precedentemente dato il suo niet al Governo nostrano: l’esposizione del crocifisso (così come di ogni altro simbolo religioso?) è “una violazione della libertà dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà religiosa degli alunni”. Un giudizio chiaro: uno Stato che si autoproclami laico non può e non deve promuovere e sostenere l’ostensione di simboli religiosi, poiché violano la libertà individuali dei singoli cittadini. Laicità significa anche ‘espoliazione’ da tutti i luoghi pubblici (tribunali, scuole, ospedali, università) di tutto ciò che possa essere ricollegato a una singola fede e ad una comunità religiosa. È un ragionamento che, in Italia, oggi trova molti critici e detrattori, in particolar modo all’interno di una parte politica che si professa ‘cattolica’ alla piazza, ma che nella realtà dei fatti assume un comportamento lungi dal poter essere definito ‘cattolico’ o cristiano. Si dimentica troppo spesso che l’Italia è uno Stato laico i cui cittadini non necessariamente si riconoscono esclusivamente nella fede cristiana e cattolica, ma che sono liberi (sempre grazie alla Costituzione, che proclama laico lo Stato) di poter scegliere e professare qualsivoglia altra religione o alcuna religione. Il concetto di laicità e il suo riconoscimento includono anche l’accettazione dell’assenza di una fede religiosa, cosa che non provoca alcuna distinzione davanti allo Stato e ai suoi organi o alle sue strutture. Portare avanti una battaglia futile e sterile come quella dell’imposizione del crocifisso nelle scuole appare sempre più una ripicca foriera di venti di intolleranza. Si crede di vedere in quel pezzo di legno esposto nelle aule un riconoscimento comunitario e identitario che il cittadino italiano, proprio per sua stessa natura, non può vedere. L’Italia, per chi ha studiato almeno un poco la nostra Storia nazionale, è un Paese che nel corso dei secoli ha visto avvicendarsi sul proprio territorio popolazioni provenienti da tutti gli angoli del Mediterraneo. La sua strategica posizione geografica ha agevolato sia le conquiste e i commerci, ma soprattutto l’incontro tra tutte quelle culture che si affacciano sul bacino mediterraneo. Non possiamo pertanto affermare con assoluta certezza che la nostra ‘cultura dominante’ sia legata esclusivamente alle tradizioni cristiane: sarebbe probabilmente più razionale parlare di tradizioni mediterranee, includendo, oltre a quelle cristiane, quelle ebraiche, islamiche, greche, latine, romane, etrusche. Saremmo degli sciocchi se pensassimo di poter fondare la nostra identità culturale su di un simbolo religioso che non appartiene al comune sentire di tutta la popolazione. L’identità nazionale e culturale di un Paese non si costruisce su un simbolo, né con i proclami autoritari di una Chiesa cattolica che parla solo ai suoi fedeli. E nemmeno portando avanti battaglie futili come questa promossa dal Governo. La politica nazionale dovrebbe probabilmente spostare il proprio raggio di interesse e di azione verso i reali problemi della comunità che rappresenta, così come il ministro Gelmini, anziché plaudere a questa decisione di Strasburgo, dovrebbe cercare di risolvere il dramma della scuola pubblica cui sono stati portati via gli ultimi brandelli di dignità abbattendo un sistema scolastico e di insegnamento che, se prima aveva della carenze strutturali, oggi si trova completamente depauperato anche del necessario e della stessa possibilità di sopravvivenza. A cosa servirebbe un crocifisso appeso a un muro spoglio all’interno di un’aula senza sedie? Mah…