L’arroccamento del mondo scientifico ed intellettuale italiano, avvenuto in occasione della mancata visita del Papa all’Universita ‘la Sapienza’ di Roma, è diretta conseguenza delle prese di posizione e degli atteggiamenti di molti ambienti cattolici e della stessa Santa Sede. Intorno alla questione della moratoria sulla 194, ad esempio, le gerarchie Vaticane stanno esprimendo lo stesso genere di posizione affermata, in sede di Assemblea Generale dell’Onu, dall’Egitto e da altri Paesi che l’avevano ideata nel tentativo di mettere i ‘bastoni tra le ruote’ ad una risoluzione contro la pena di morte. Si tratta di Stati persuasi che la religione possa essere utilizzata in quanto strumento giuridico di organizzazione della società. Dunque, la vera questione che rimane aperta, al di là di molte apparenze, è quella di un ‘neoconfessionalismo’ che cerca di ottenere, attraverso l’uso della filosofia morale, determinati effetti di ‘influenza’ giuridico-sociale. Il che può anche andar bene, attenzione! Ma solamente quando ciò risulta convergere parallelamente con l’ordinamento di uno Stato laico, non quando dimostra di voler intaccare il principio di ‘distinzione’ tra legge materiale e legge morale. Inconsapevolmente, una gran parte di noi è portata a credere che ogni norma di comportamento concreto si debba trarre da un concetto della legge che coincida perfettamente con la norma morale. Ebbene, non è così o, per lo meno, non sta scritto da nessuna parte che sia sempre così. Se la legge materiale e quella morale coesistessero sempre e comunque, si potrebbe teorizzare persino la caduta di ogni distinzione tra pubblico e privato, che rappresenta, invece, la base di ogni autentico sistema liberaldemocratico. Un cattolico non se la sente di ‘staccare la spina’ al respiratore di Pier Giorgio Welby, nonostante lui stesso lo chieda? E’ un problema suo, privato, non pubblico. Egli non condivide che un malato terminale possa decidere di andarsene da questo mondo senza subire forme di accanimento terapeutico? Anche questo è uno scrupolo morale di carattere personale, che non può divenire una forma di discriminazione pubblica nei confronti della norma giuridica, la quale, per propria natura, tende a tutelare determinati diritti e ad individuarne dei nuovi. Il diritto di morire senza troppe sofferenze fisiche, lo vogliamo concedere a un individuo? Oppure riteniamo di dover intervenire in ogni frangente, anche contro la volontà del prossimo? La distinzione tra “carne e spirito” è la base stessa della religione cattolica, poiché il primo vero laico che ci chiese di guardarci dal “lievito dei Farisei” fu proprio Gesù Cristo. Dunque, all’Università ‘la Sapienza’ non era affatto in giuoco un diritto di libertà di espressione del Pontefice, quanto la possibilità di riuscire a dare una dimostrazione di autonomia, da parte del mondo della cultura, nei confronti di una visione ‘ideologica’ della religione, che si è fatta sistema in quanto portatrice di valori cristallizzati, non modificabili, che non possono e non debbono evolversi. Può anche darsi che si tratti di un ‘abbaglio’, ma a me pare che la Conferenza episcopale italiana sia spesso vittima di una concezione ‘negativamente assoluta’ della trascendenza, eccessivamente ortodossa, che alla fine rischia di darsi la ‘zappa sui piedi’ da sola. Si tratta di un’elaborazione che non intende esercitarsi attraverso un sistema di diritti, bensì in quanto ‘dovere di intervento’ nella sfera privata dei singoli individui. Ma questo genere di trascendenza non è affatto di natura divina, bensì umana. Dunque, è essa stessa relativa. L’amore, lo spirito, Dio stesso è sicuramente trascendente. Ma i suoi ‘interventi’, quando ci sono, giungono durante o alla fine di determinati processi, alle volte assai sofferti, non all’inizio. E la questione stessa della trascendenza divina, in quanto ultraterrena, non può venir banalizzata con la classica costruzione di una casa cominciando ‘dal tetto’. E’ questa la critica che vien fatta al mondo cattolico: esso dà tanto l’impressione di ripiegarsi su se stesso, verso una propria impronta storicista, dogmatica, che genera pregiudizi concreti e con effetti pratici. Un laico non crede che Dio non esista: molto più semplicemente, ritiene che Egli giunga, troppo spesso, con grave ritardo.
(articolo tratto dal quotidiano 'Avanti' del 17 gennaio 2008)