Ritengo fondato il parere di coloro che hanno provato un certo grado di sconcerto per il vertice della Fao che si è tenuto in questi giorni a Roma: con piena evidenza ci siamo ritrovati di fronte a un summit internazionale che non solo non è riuscito a proporre alcunché di concreto, ma che non ha nemmeno avuto la forza di dire la verità. E cioè che il problema della fame nel mondo si è fortemente aggravato a causa del neo - colonialismo degli Stati più ricchi, propensi a sostenere lo sviluppo dei Paesi poveri solo ed esclusivamente attraverso aiuti finanziari tesi allo sfruttamento ricattatorio delle loro ricchezze. E’ la conseguenza di uno scambio ‘ineguale’, che non produce alcun sostanziale ‘progresso’ collettivo in favore delle popolazioni locali. Più che la creazione di industrie gestite da ‘tecnici’, inviati da Paesi occidentali al solo scopo di sfruttare le risorse locali in cambio di qualche palliativo finanziario, per molti Paesi basterebbe l’invio di poche migliaia di ‘istruttori’ in grado di insegnare alle popolazioni stanziali le tecniche di riorganizzazione industriale e strutturale della propria economia interna. Ma ciò non è mai accaduto. Per cui, il Senegal si ritrova ancora oggi incatenato alla monocultura delle arachidi, lo Zambia all’estrazione del rame e dello zinco, la Tanzania a quella della bauxite e dell’oro. Intere generazioni di esseri umani continuano ad essere calpestate, schiavizzate, sfruttate, derubate. E il progresso dell’intero occidente avviene in quanto ‘premio’ di un immenso ladrocinio. Dai tempi della ‘tratta degli schiavi’, a molti ingenui ottimisti sembra che l’umanità abbia compiuto un cammino straordinario, mentre in realtà almeno un terzo della popolazione mondiale si ritrova abbandonata a se stessa, alle proprie rivalità tribali, alla sua insopportabile arretratezza, estremamente utile al fine di alimentare il commercio illegale delle armi. Mentre alcuni Paesi, in qualche modo, avanzano grazie a forti esportazioni di greggio, nella gran parte del globo – quasi tutta l’Africa, in particolar modo quella ‘subsahariana’, buona parte dell’Asia e la quasi totalità del Sud America - i Paesi ricchi continuano a importare l’arachide e il cotone grezzo, le cui coltivazioni rovinano i terreni, in cambio di prodotti industriali, macchine e surplus di cereali. E continuano a far affluire, con tutte le spese che ne conseguono, numerosi esperti, commissioni e agenzie internazionali con valigie ricolme di false promesse, gadgets e altro fumo negli occhi. Si tratta delle cosiddette ‘burocrazie della fame’ – tra le quali potrebbe a pieno titolo essere inserita la stessa Fao - che vivono alle spalle del Terzo Mondo poiché per esse la fine del sottosviluppo significherebbe la disoccupazione. Nonostante l’umanità abbia varcato la soglia del Terzo millennio, il copione rimane lo stesso: ci sono voluti circa sei mesi e le immagini di bambini scheletrici sugli schermi delle televisioni perché il mondo reagisse alla spaventosa carestia che, nel 2005, ha colpito il Niger. Il suggerimento, mai seguito dal mondo progredito, teso a evitare che milioni di esseri umani continuassero a patire gli stenti della fame, della miseria, dell’ingiustizia e della violenza, era quello di creare raggruppamenti economici, sociali e politici diretti dalle classi rurali locali, in grado di opporsi in modo non violento all’ingordigia dei potenti. Ma fino quando parleremo solo delle emergenze, anziché delle premesse, dello sviluppo del Sud del mondo, noi rimarremo ‘inchiodati’ sempre allo stesso punto. E interi popoli continueranno a patire la povertà, le carestie, le siccità, la mortalità infantile,
essi sempre inferiori, essi sempre deboli, essi sempre calpestati, essi sempre infimi, essi sempre colpevoli, essi sempre sudditi, essi sempre disperati, essi sempre sottomessi, essi sempre selvaggi, essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vivono come assassini sotto terra, come banditi in fondo al mare, come pazzi in mezzo al cielo, che si sono adattati ad un mondo sotto al mondo, che hanno creduto in un Dio servo di Dio. Contro tutto questo noi dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, il che significa essere continuamente irriconoscibili, dimenticare subito ogni successo e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarci col diverso, a scandalizzare, a bestemmiare!
(articolo tratto dal web magazine www.periodicoitaliano.info)