“Vogliamo parlare del fatto che Maometto era poligamo, che aveva nove mogli, l’ultima di nove anni? Maometto era un pedofilo, aveva una moglie di nove anni: un pedofilo”. Queste le parole pronunciate da Daniela Santanché lo scorso 9 novembre durante la trasmissione di Canale 5 del lunedì pomeriggio (fascia protetta?). Una sentenza, non un’accusa, pronunciata a bruciapelo, che annienta qualsiasi contradditorio, anzi, lo nega per principio, perché chi la pronuncia non vuole che gli sia risposto. Ebbene, nel mio piccolo, vorrei offrire una risposta alla signora Santanché, paladina dei diritti civili e delle donne, soprattutto se musulmane: il suo riferimento alla pedofilia di Muhammad non è solamente offensivo (Maria non ha sposato Giuseppe quando era ancora una ragazzina e non ha partorito giovanissima?) per chi crede nell’Islam e nel suo Profeta, per chi rispetta le credenze religiose altrui, ma è – e questa è lacosa più grave - privo di ogni fondamento storico. La Storia non è una questione da sottovalutare: l’analisi dei contesti storici, sociali e politici sono elementi che vanno tenuti in grande considerazione quando si affrontano argomenti delicati come quelli religiosi (si ricordi la “gaffe” di Benedetto XVI quando a Ratisbona utilizzò l’esempio del dialogo tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un persiano, dimenticando di contestualizzare storicamente lo scritto citato e di valutarne il contenuto in termini di opportunità). La sensibilità dei credenti è suscettibile e va rispettata, ma non per questo debbono essere negati il confronto e la critica, se entrambi sono sostenuti da evidenti fonti storiche. Muhammad non era affatto un pedofilo. E’ vero che ha sposato, come terza moglie, A’isha, la figlia del suo migliore amico (nonché fedele compagno e primo dei quattro Califfi ben Guidati) Abu Bakr. Ha sposato A’isha, la piccola rossa, perché ne era innamorato, perché l’aveva vista nascere e crescere, ma ha rispettato la sua tenera età e il matrimonio non è stato consumato se non dopo lo sviluppo della ragazza (passaggio decisivo nel VII secolo d.C. anche nell’Europa cristiana affinché la donna potesse convolare a nozze). Muhammad non ebbe nove mogli, bensì tredici. Era poligamo. Ai nostri occhi, una simile condizione risulta aberrante e incomprensibile, ma tra il 622 e il 632 d.C. la poligamia non era una questione di maschilismo, bensì uno strumento per sostenere quella parte della comunità che aveva difficoltà nel procacciarsi autonomamente i beni di sussistenza. Nel VII secolo d.C. la penisola Arabica era popolata da tribù beduine, per lo più nomadi e seminomadi, che vivevano dell’allevamento del bestiame e dei commerci che intraprendevano con le città costiere. Poche erano le città (La Mecca era una delle principali città della penisola, nonché luogo sacro ancor prima dell’avvento di Muhammad) e le oasi dove le tribù avevano instaurato un regime stanziale. I rapporti che intercorrevano tra le tutte le tribù presenti erano di sangue e non era difficile che si verificassero, di frequente, conflitti e combattimenti tra tribù nemiche. Questi continui scontri creavano una condizione di vita piuttosto precaria, soprattutto per le donne, che talvolta si trovavano a rimanere sole per lungo tempo in attesa che il marito (o il fratello, o il padre) tornasse dai lungh iviaggi carovanieri o dagli scontri con le tribù avversarie. Non di rado, le donne rimanevano vedove e la comunità intera si incaricava del sostentamento di queste famiglie spezzate, invogliando gli uomini a prendere come moglie proprio le donne rimaste sole, prive della protezione maschile e, il più delle volte, incapaci di sostenersi autonomamente. La poligamia, pertanto, nasceva da un principio solidaristico, anzi, dal principio solidaristico che sta alla base di tutta la dottrina islamica (il divieto dell’usura o riba nelle operazioni commerciali e finanziarie deriva esattamente da ciò). Non deve quindi sconvolgerci il fatto che Muhammad ebbe molteplici mogli, anche perché non bisogna dimenticare che nel suo status di Profeta (e di capo di una comunità) i matrimoni che concludeva rappresentavano il più delle volte accordi politici, dunque non biechi desideri sessuali maschili. Infine, vorrei raccontare alla signora Santanché anche che la piccola rossa, A’isha, oltre ad essere la moglie prediletta e più giovane del Profeta è stata anche la più importante trasmettitrice dei detti e dei fatti (o hadith) risalenti a Muhammad, che sono una delle più significative fonti del diritto musulmano. A’isha, la sposa bambina, è una delle figure più significative nel mondo arabo-islamico, probabilmente anche una delle più affascinanti e delle più amate sia dai credenti che da gran parte degli studiosi. Una figura femminile che conquista fin da subito per la sua storia, la sua passione, la sua arguta intelligenza. Una donna di grande coraggio e di grande carisma, combattente fiera, che partecipò coraggiosamente alle battaglie intraprese contro i pagani meccani e che guidò, seppur non direttamente sul campo, la Guerra del Cammello, che nel 656 contrappose il genero e cugino del Profeta Alì Ibn Abu Talib ad alcuni compagni di Muhammad, dando luogo al primo e più tormentato scisma all’interno della Umma Islamiyya. Battaglia, peraltro, dalla quale Alì e i suoi sostenitori (la shia al-Ali) uscirono sconfitti, sancendo definitivamente la scissione tra sunniti e sciiti.