Lo scorso 4 novembre 2009, il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il decreto legge 135/09, dal titolo: "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee". Dietro questo nome, apparentemente innocuo e dallo scarso valore politico, si cela una delle decisioni più importanti e discusse degli ultimi mesi: la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Con un solo articolo e dopo soli 2 giorni di discussione nell'aula di Palazzo Madama, i Senatori della Repubblica hanno sancito l'obbligo per tutti gli organismi locali di ottemperare alle direttive europee che impongono l'affidamento dei servizi locali alle aziende private, servizio idrico compreso, nonostante l'Europa, nella realtà dei fatti, non imponga alcuna privatizzazione dell'acqua. Anzi, è tutto il contrario: a Parigi, a partire dal prossimo gennaio, la produzione, il trattamento e la distribuzione dell’acqua verranno affidati ad una società pubblica, la municipalizzata Eau de Paris, estromettendo, in questo modo, Suez e Veolia. due dei maggiori colossi multinazionali privati. Il voto in Senato è la conclusione di un iter parlamentare che dura da due anni. Infatti, il governo Berlusconi, con l’articolo 23 bis della Legge 133/2008, aveva provveduto a regolamentare la gestione del servizio idrico integrato che prevedeva, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori o società, mediante il rinvio a gara, entro il 31 dicembre 2010. Quella Legge è stata approvata il 6 agosto 2008, mentre l’Italia era in vacanza. Un anno dopo, precisamente il 9 settembre 2009, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge, il cui articolo 15, modificando l’articolo 23 bis, muove passi ancora più decisivi verso la privatizzazione dei servizi idrici. Quindi, con la conversione in legge del decreto 135/09, il Senato della Repubblica sancisce che i servizi pubblici locali sono di rilevanza economica, come il gas, i trasporti e, soprattutto, l’acqua. Si sottrae, pertanto, ai cittadini l’acqua potabile di rubinetto, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati e per le banche. Ciò vuol dire che l’affidamento di questi servizi avverrà solo attraverso gara pubblica, che i comuni non possono detenere più del 30% del capitale societario e che, per averlo, dovranno mettere a gara le azioni di cui oggi sono già proprietari per poi, magari attraverso prestiti bancari, cercare di riprendersele. Quindi, questo Governo, con buona parte dell'opposizione, ha deciso di generare profitto anche dal servizio idrico, definito BENE ESSENZIALE dal consenso mondiale. Quali danni provocherà quest’ulteriore sferzata di privatizzazione dell’acqua dopo quella già messa in moto dal governo Amato nel 1994? Partendo dal concetto che il privato deve fare profitti e che i profitti si fanno a discapito degli investimenti, riducendo il costo del lavoro e alzando le tariffe, i dati dicono che dal 1994 al 2005 sono stati utilizzati 700 milioni di euro come investimenti sulla rete idrica, a fronte dei 2 miliardi di euro investiti nei 10 anni precedenti. Quasi il 50% degli investimenti previsti nel 2008 non è stato ancora realizzato, mentre le tariffe aumentano in modo esponenziale, anche fino al 300% (vedi Arezzo e Latina). Se fino ad oggi, in questo settore, si è riusciti a contenere i livelli occupazionali, con questa ulteriore privatizzazione inizierà, come già successo nel settore elettrico e delle telecomunicazioni, un massiccio intervento a suon di mobilità, esodi agevolati, prepensionamenti e qualsiasi altra forma di licenziamento. Ora, il tutto, approderà alla Camera dei Deputati, in Commissione Affari Costituzionali e verrà discusso dall’Aula a partire dal 16 novembre. Ci troviamo di fronte, quindi, alla definitiva mercificazione di un bene essenziale alla vita e alla consegna nelle mani del mercato di un diritto umano universale, un diritto fondamentale dell'uomo che non può essere alienato, un bene comune da conservare per le future generazioni. Salvare l’acqua è una questione di democrazia.