Paola Balducci, esponente di spicco dei Verdi, ex parlamentare e avvocato penalista tra i più quotati d’Italia, oggi fa parte del Consiglio direttivo dell’Eurispes. Il suo lungo impegno politico, ambientale e culturale la rende una delle donne più interessanti per il futuro rilancio del mondo progressista italiano. Abbiamo perciò voluto incontrarla, al fine di riflettere insieme a lei su alcuni dei principali contenuti che stanno animando l’attuale dibattito precongressuale del Partito democratico e per conoscere le sue idee intorno al migliore assetto politico possibile per la sinistra italiana di domani.
On. Balducci, chi potrebbe essere, secondo lei, il Segretario nazionale del Partito democratico più adatto in questa difficilissima fase politica della sinistra italiana?
“Ognuno dei candidati è portatore di valori condivisibili, anche se c’è chi ha deciso di puntare di più sulla laicità o sulla lotta alle diseguaglianze o sul merito. Ciascuna delle mozioni presenta, quindi, aspetti di interesse. Visto da sinistra, credo di ritrovarmi di più nella mozione di Bersani e nella sua visione di Paese”.
È certamente una fase di transizione un po’ delicata, in troppi hanno manifestato il desiderio di guidare il Pd e si rischia di creare delle incrinature o addirittura delle spaccature in un ambiente già frammentato e ‘spacchettato’: chi sarebbe così fermo e accattivante, nonché credibile alla testa del Partito?
“Premetto che un’evidente differenza tra la destra e la sinistra sta nel diverso modo di concepire la leadership. Nella destra è prevalso uno schema ‘leaderistico’ che, fortunatamente, il centro - sinistra ha rifiutato per le pericolose conseguenze sul piano della democrazia interna. Al Pd non serve un ‘capo’ dai poteri taumaturgici. Occore, invece, un Segretario che possa compattare le forze riformiste attorno ad un programma serio, che sappia dialogare con chi esprime valori condivisibili”.
Marino si è candidato e la Binetti ha subito affermato che se lui dovesse vincere le primarie, lei e i ‘teodem’ confluirebbero nell’Udc: le sembra un argomento plausibile, che dimostra serietà negli intenti e nei contenuti?
“Oggi non ha molto senso spostare frazioni percentuali di consenso all’interno del centro – sinistra: mi sembra più importante lavorare per costruire un progetto credibile di forze riformiste che riesca a convincere gli elettori moderati e a riportare alle urne gli elettori sfiduciati di centro - sinistra”.
La religione, la manifestazione della propria appartenenza religiosa (ma anche di quella sessuale) può divenire elemento di adesione o, al contrario, di distacco da un Partito?
“E’ ovvio che la religione sia un elemento importante per un credente, ma un Partito deve saper parlare a tutti, atei compresi. Governare il Paese in modo laico non significa, però, non tener conto dei valori cattolici che, ovviamente, fanno parte del patrimonio morale e culturale dell’Italia intera. Non credo, però, che agli italiani stia a cuore sapere se un Partito è più o meno vicino ai dettami della religione. Agli elettori interessa che una coalizione sia in grado di proporsi come alternativa di Governo, occupandosi dei problemi che riguardano il lavoro, l’economia, l’ambiente, la giustizia…”.
Perché Lei e gli altri dei Verdi non avete aderito al Partito democratico?
“Il Partito democratico che si presentò alle elezioni del 2008 era molto diverso da quello odierno. Allora riteneva che si potesse andare al Governo del Paese senza un pezzo della sinistra. Una convinzione che è risultata errata nei fatti”.
Le ultime elezioni europee e locali dovrebbero aver dato un segnale chiaro: la sinistra e il centro - sinistra riescono a ottenere maggior consenso solamente se uniti, tutti insieme. Non crede sia possibile riunire sotto un unica bandiera tutte le correnti di sinistra? L’impostazione culturale dovrebbe essere, oggi, la medesima per tutti, non è così?
“Dopo l’elezione del nuovo Segretario del Pd si potrà aprire una nuova fase dei rapporti nel centro - sinistra, nella ritrovata consapevolezza che non è possibile tornare a vincere, io ritengo, se non guardando ad un nuova stagione di alleanze tra forze riformiste che condividano valori comuni”.
Gli interessi, però, all’interno del Pd dovrebbero essere comuni: perché allora scontrarsi, litigare e creare sottofazioni all’interno dello stesso movimento?
“Per l’ovvia considerazione che più è grande un partito e maggiori sono le possibili divergenze, i distinguo, le difformità di punti di vista e le diversità di opinioni. Tutto ciò costituisce una legittima espressione della democrazia interna: un valore che è non sempre presente in altre grandi formazioni”.
Anche tutti questi dibattiti non crede possano indurre gli elettori meno convinti ad allontanarsi sempre di più dal Partito?
“Agli elettori non interessano le beghe interne, ma un programma di riforme per un’Italia più moderna e solidale”.
E poi perché, secondo lei, vi sono ancora moltissime persone che non si sentono rappresentate né dal Pd, né da Di Pietro, né, però, dalle altre formazioni di sinistra? La sete di potere è diventata così forte, a sinistra, da creare solo tensioni e perdita dei consensi?
“Alle elezioni del 2008 e, in parte anche alle europee, si è manifestato un fenomeno di astensionismo che ha colpito soprattutto la sinistra. La crisi dell’elettorato, dopo la caduta del Governo Prodi, è stata grande. Dobbiamo però ricordare che la caduta di quell’esecutivo è stata dovuta per il mancato sostegno di una componente centrista. I Verdi e gli altri partiti di sinistra hanno continuato a sostenere il Governo Prodi fino alla fine. Il distacco degli elettori di sinistra può essere superato solo attraverso un credibile impegno delle forze riformiste per un’alternativa di governo”.